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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    05/01/2013

    Terza colonna da destra, il sesto dall’alto (in loving memory of Giò Giò)

    Filed under: — JE6 @ 16:40

    Ogni tanto capita, sono in macchina con un amico, metto su un cd di roba vecchia e buona, uno dei due dice ti ricordi la prima volta che l’abbiamo sentito e l’altro risponde uh sì, l’abbiamo preso da Giò Giò. Era un negozio per modo di dire, stava in via Broletto e dal marciapiede potevi vedere l’enorme murale di Armani che stava diventando parte integrante dell’arredo urbano milanese; non c’erano insegne, varcavi il grande portone di legno di uno di questi palazzi la cui bellezza può essere capita solo dai milanesi – e gli altri che s’arrangino, non ci si può prendere cura di tutte le povertà di spirito altrui -, poi passavi un cortile quadrato e andavi in fondo a sinistra, passando da una porta anonima. C’era un bancone, e dietro questo due tipi dei quali non ho mai saputo intuire l’età, e poi c’erano le pareti. Ecco, quelle pareti. Centinaia, migliaia di piccoli ganci metallici, un po’ come quelli che metti in cucina per appendere una presina o uno strofinaccio se non hai pretese di eleganza, e migliaia di bustine di plastica trasparente, su ognuna delle quali stava una piccola etichetta adesiva con un codice, dentro ognuna delle quali stava la copertina di un cd. Non ricordo più quale fosse il criterio di affissione, se alfabetico, o Italia/Resto del Mondo, o per genere. So solo che stavamo incantati davanti a quei muri per ore, a guardare copertine, a compulsare le novità, a chiederci e questi chi cazzo sono, facendo i conti di quanto avevamo in tasca, allora facciamo che io prendo questi due e tu quegli altri tre, la prossima volta tocca a me, ma io non ho voglia di ascoltare del blues africano. Poi prendevi quella bustina e la portavi al bancone e uno dei due tipi dall’età indefinibile in cambio ti dava il cd nella sua scatola, senza copertina. Pagavi il noleggio, tre giorni incluso quello di acquisto, per ogni giorno di ritardo nella restituzione qualche lira di multa. Dopo mesi riuscivi a raccattare un po’ di coraggio e chiedere a uno di quelli dietro il bancone se aveva qualche suggerimento, a me piace roba tipo Springsteen, boh, di nuovo e buono non c’è molto ma guarda che è uscito il primo da solista di Little Steven, là, terza colonna da destra, il sesto dall’alto, e poi via di corsa verso casa, rigirandosi le copertine in mano mentre la metropolitana ci riportava da Cordusio verso Bonola, con la fregola di entrare in camera e attaccare lo stereo a balla, cento watt buoni per cassa. Un giorno Giò Giò chiuse, di punto in bianco, sapevano tutti che era un’attività non esattamente legale, e via Broletto tornò ad essere solo una via del centro storico di Milano, una di quelle vie la cui bellezza – niente, ci siamo capiti. Qualcuno provò a riaprirlo in periferia, ma durò poco, e comunque Giò Giò sarebbe stato per sempre solo quello di quel cortile tra il murale di Armani e la chiesa. Non so quanti dischi ho ascoltato grazie a Giò Giò, so che dopo non c’è stato nient’altro, nessun p2p, nessun iTunes Store, niente che rendesse la scelta e l’attesa della musica bella quanto le sue pareti piene di ganci metallici, di bustine di plastica, di copertine sgualcite.