I said, “Do you speak-a my language?”
Qualche giorno fa ho finito di leggere “Brigate Rosse – Una storia italiana”, il libro che venne fuori dalla lunghissima intervista che Rossana Rossanda e Carla Mosca fecero a Mario Moretti nel 1993. E per tutto il libro la cosa che mi girava per la testa non aveva a che fare con i morti, con l’idea della rivoluzione armata, con Moro, no, era qualcosa che aveva a che fare con la lingua, le parole, le frasi. Mi rendevo conto che quel che Moretti diceva io lo capivo: capivo quel che voleva dire, quel che diceva, come lo diceva. Il che, ovviamente, non significava essere d’accordo; significava però parlare una lingua comune, o quantomeno una lingua con radici comuni. Quali siano queste radici non lo so, non ho quel tipo di formazione, di storia, sono più giovane di Moretti, figlio di un’altra generazione, di un altro ambiente (e, per inciso, di un carabiniere: uno che, per il suo semplice essere tale, per Moretti era un nemico contro il quale era legittimo usare le armi). Sono giorni che ci penso, che mi chiedo se un ventenne oggi potrebbe leggere quel libro e capire, che mi chiedo perché io ho capito, e se faccio parte di un gruppo di persone che ha letto troppo di politica e di cronaca politica, che si è abituata a dare quel significato a quelle parole, che invece per gente “normale” ne ha un altro, o non ne ha per nulla.