Stories of the Bund – I panni stesi
E’ stata una domenica di vento e sole, una di quelle giornate che sgombrano il cielo dall’umidità e dall’inquinamento. Sembra primavera, per un paio d’ore lo è. Lascio il Bund e i milioni di persone che lo affollano, passo il ponte sul Wusong, l’affluente del più grande Huangpu ed entro in questo reticolo di vie, Minhang, Wuchang, case povere schiacciate tra i grattacieli da una parte e Zhapu Lu dall’altra, la via che diventerà più avanti la zona pedonale di Yuanmingyuang Lu con i suoi ristoranti di lusso, i suoi alberghi a cinque stelle, le sue modelle che sorridono in favore di camera per una pubblicità di borse. Tutti i panni di Shanghai sono stesi all’aria oggi: bisogna approfittare del clima, è uno di quei giorni che si asciugano in mezz’ora. Basta alzare di poco gli occhi e ci sono millemila bastoni ai quali sono appesi maglie e mutande e giubbotti e camicie e pantaloni di ogni colore e dimensione, tutte cose gualcite e di bassa qualità – d’altra parte i ricchi hanno altri sistemi e possibilità per curare il proprio guardaroba. Sulla ringhiera che delimita lo spelacchiato prato che fa da spartitraffico tra le sei corsie di Wusong Lu stanno appoggiati lenzuola e piumini, vedo una donna uscire da una porta ed entrare nel parchetto che le sta di fronte a casa, dove un bambino tira e molla le foglie spinose di una specie di palma sotto gli occhi di un anziano, forse il nonno, forse uno zio, e appendere un lenzuolo ad un cavo tirato tra due alberi. C’è un’aria di paese anche se basta girare la testa per vedere i grattacieli di Pudong, quelli che non hanno nulla da invidiare alla parte sud-est di Manhattan, potrei essere in un paesino dei Monti dell’Atlante – anche lì, altro che asciugatrici e termosifoni: il sole, il vento, e la speranza che durino.