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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    28/02/2014

    Greetings from London 2014 – Senza foto, vicino allo stadio

    Filed under: — JE6 @ 17:28

    Vorrei avere più tempo, vorrei potermi fermare davanti a ogni tomba, a ogni lapide. Ma ho solo mezz’ora, incastrata tra due appuntamenti. E’ quella che mi basta per percorrere il lungo viale centrale che taglia il Brompton Cemetery, e guardare le croci, quelle nostre e quelle con due braccia in più con le scritte in cirillico, e sentire l’aria fresca di Londra in un giorno di sole perfetto. E’ un libro di storia questo posto, una pagina per il generale che ha assediato e conquistato Sebastopoli, una per il filantropo della fine dell’Ottocento, una per il mercante delle Indie, una per “la mia carissima amica” – che trovo struggente, penso a una donna senza parenti ma con un’amica così vicina da essere la persona che le ha curato il funerale, e la sepoltura. Il terreno è fatto di avvallamenti, cunette, saliscendi, non c’è una sola tomba in piano al Brompton Cemetery; e non c’è una sola fotografia, nemmeno sulle tombe degli anni Trenta o Quaranta. E’ bello provare a immaginarsi i volti che stavano dietro a nomi che non usano più, i vestiti, ed è strano fermarsi al centro del cimitero guardando verso ovest, stare nel mezzo dell’Ottocento, avere a destra il grattacielo dell’Empress State Building e a sinistra lo stadio di Stamford Bridge, così vicini da poterli toccare, da potersi toccare come la nipote e la bisnonna della gita a mezzanotte di Roddy Doyle, come due vite, di cui una fatta di morti.

    25/02/2014

    Greetings from London 2014 – Vetrine

    Filed under: — JE6 @ 23:23

    A volte si torna nei posti come si ritorna dagli umani – per vedere se sono cambiati, e come: e soprattutto se ci sono ancora e se sì, se ti riconoscono, se ti vogliono ancora. Così arrivo a Leicester Square e vado a cercare quella vetrina, quand’è stato che l’ho vista per la prima volta, devono essere sei o sette anni fa, so che è da queste parti, prendo Charing Cross Road ma niente, e dopo un po’ come al solito smetto di seguire un percorso preciso, giro angoli a caso, riconosco pub dove ho mangiato e mi fermo a guardare librerie dove comprerei tutto, bevo una pinta di ale, attraverso Chinatown e quando credo di essermela lasciata alle spalle per un lunghissimo secondo vengo trafitto da un odore che mi precipita a Shanghai, a Fengyang Lu. E poi, dopo un paio d’ore, eccola, quella vetrina. A cinquanta metri dal punto in cui ho iniziato il giro, mi sarebbe stato sufficiente voltare lo sguardo per vederla: ma niente succede per caso. Mi avvicino, mi fermo sul marciapiede, è sempre la stessa, piena di pennelli, gessetti, tubetti di colore, cornici, so di averci anche comprato qualcosa, forse un blocco da disegno, o delle matite, magari un regalo. E’ tardi, il negozio è chiuso, passa una ragazza con i capelli scuri e gli stivali con la punta arrotondata che mi getta un’occhiata veloce e sfila via, e poi è l’ora di lasciar perdere i simboli e andare a prendere il vento in faccia sopra il Tamigi in mezzo ai turisti che aspettano il suono del Big Ben.
    Let’s fill this town with artists, 13 Charing Cross Road, London (pic by Gigideque)

    24/02/2014

    Greetings from London 2014 – Harmlessly passing your time in the grassland away

    Filed under: — JE6 @ 23:08

    Ho girato intorno all’enorme cantiere del suo ammodernamento, gru, betoniere, caschi gialli e giubbotti fosforescenti, ho costeggiato il fiume che le scorre davanti e le case di lusso che le stanno a fianco, ho camminato avanti e indietro fino a che la schiena mi ha chiesto basta, e tutto sempre senza mai riuscire a staccare gli occhi dalle quattro ciminiere, dalla struttura di mattoni scuri enorme e leggera, senza mai smettere di sentire nelle orecchie quella prima riga, harmlessy passing your time in the grassland away – ognuno ha i suoi pellegrinaggi privati, i posti che lo attirano come calamite a dispetto delle mille altre cose che si potrebbero fare in quelle due ore, come se ci fosse il bisogno fisico di vederli e toccarli e sentirne i suoni e gli odori, non importa se questi sono le zaffate sputate dai motori delle ruspe, fino alla prossima volta, se saranno ancora in piedi.
    Battersea Power Station, un pomeriggio d’inverno

    21/02/2014

    Le vetrine di Detroit

    Filed under: — JE6 @ 09:00

    (…) i giapponesi, i tedeschi, i coreani. Il mondo ha continuato a fabbricare e comprare automobili: Detroit no. Gli altri erano più bravi, più veloci, più economici, più fantasiosi – quei demoni dei giapponesi non avevano stabilimenti negli Stati Uniti e allora attrezzavano le navi per poter continuare gli assemblaggi durante il viaggio lungo l’oceano, così quando arrivavano in porto erano già pronti per i concessionari. Gli stabilimenti hanno chiuso, i fornitori dell’indotto pure, licenziamenti, disordini razziali, l’esodo di due terzi della popolazione e in qualche modo l’intera città ha tirato giù le serrande in attesa che qualcuno venisse a comprarsi in saldo quel che rimaneva.

    Quelli di Left Wing si ostinano a farmi scrivere letterine. Questa è quella pubblicata nel numero 2 (nel quale trovate pure un pezzo della compagna De Cinti, che gradirete assai se a suo tempo vi siete innamorati di Julie Delpy e/o se siete rimasti degli irrimediabili sedicenni). Ah, tenendo conto che nella rivista trovate tanta roba buona, abbonatevi.

    18/02/2014

    Per interposta persona

    Filed under: — JE6 @ 21:00

    I due uomini sono fermi sul marciapiede, intenti a misurare le parole come fanno da molto tempo. Nell’umido della pioggia appena finita si interrompono all’arrivo della donna, che li guarda e smorza il sorriso con cui era scesa dalla macchina. Si salutano, si scambiano le cortesie di rito, come stai, tutto bene, mi fa piacere. In mezzo pare di vedere scorrere il lungo fiume fatto di vecchie amicizie, rancori, disillusioni per interposta persona. Uno dei due uomini muove la mano come per fare un gesto che vorrebbe essere di scuse e di impotenza, ho fatto quel che dovevo e quel che ritenevo giusto e quel che potevo, avevo i miei problemi e non potevo accollarmi anche i tuoi, l’altro sorride, la donna dice ciao, buona serata, stai bene, poi tutti tornano alla loro nuova vita, che non è altro che la vecchia, solo su rive opposte.

    14/02/2014

    Le voci di dentro

    Filed under: — JE6 @ 09:16

    Io la Direzione Pd ieri non l’ho vista, l’ho ascoltata (stavo facendo altro, dovevo tenere gli occhi su un PowerPoint, è una vita difficile). Sono riuscito a sentire qualcosa per i primi venti minuti, quelli che sono serviti a Matteo Renzi per leggere l’avvincente comunicato di licenziamento di Letta, poi è calato il silenzio; ho controllato l’audio del portatile (tutto a posto), le cuffie in ear (idem): allora ho fatto il mio bravo alt+tab e ho capito, i primi tre che hanno parlato dopo il segretario sono stati Zanda Cuperlo e Gentiloni, alcune delle molteplici incarnazioni del concetto di esangue pallore che contraddistingue quella che finge di credersi e millanta di essere la classe dirigente di un partito e, per proprietà transitiva, di una nazione. A quel punto non c’era altro da aggiungere, nessun’altra spiegazione da cercare, e sono tornato al mio PowerPoint.

    08/02/2014

    De Lapalisse reloaded

    Filed under: — JE6 @ 11:48

    Si vede che il ricicciamento di De Lapalisse si configura come usato sicuro, perché ieri sera mi sono imbattuto nella convinta celebrazione bignardesca e socialcosistica di “ci si innamora di chi ci si innamora”, massima da scolpire nella pietra elaborata da Carlo Gabardini – e intanto che leggevo gli ooohhh-bravo-magnifico-poeta-stupendo sentivo questa lontana nostalgia di Massimo Catalano, sarà l’età, sarà che ognuno ha i suoi poeti di riferimento.