|
|
30/09/2014
C’è questo libro, molto bello, che mi è capitato di leggere qualche mese fa. Racconta di un periodo, quello del passaggio della Spagna dalla dittatura franchista alla democrazia, e nel farlo parte da, e poi torna a, un momento preciso, quello nel quale i militari impegnati in un tentativo di colpo di stato e guidati da un colonnello con la faccia da caratterista di telefilm di serie B entrano nell’aula delle Cortes e sparano, e tre soli uomini restano in piedi a sfidare quelle pallottole. Il libro si intitola “Anatomia di un istante”, e tra i molti motivi per cui vale la pena leggerlo c’è il titolo, e quel che il titolo si porta dentro. Perché il fatto è questo, ed è una cosa alla quale penso spesso, il fatto è che non è una storia di sliding doors, di poteva andare così e invece è caduto un vaso dal balcone spinto da un colpo di vento e allora è andata in un altro modo, il fatto è che tante volte le cose sembrano concentrarsi tutte in un istante preciso, una specie di distillato densissimo, una goccia microscopica e inscindibile che racchiude tutto, dentro la quale tutto ha senso. Mi affascina questa cosa, mi affascina vederla da fuori – perché i propri istanti nessuno è capace di riconoscerli davvero – come se stessi a fissare le foto di un buco nero, e mi affascina pensare che in fondo i giorni spesso sono esattamente questa cosa, il transito quasi sempre incosciente da un istante a quello successivo, e mai che ci sia una volta che questo non ti arriva alle spalle sfilandoti il portafogli e tu te ne accorgi solo molte ore dopo e ti guardi in giro e riesci solo a dire “occazzo, è stato in quel momento lì, adesso ho capito”.
23/09/2014
Io ho un problema con la serialità, nel senso che per noia, incostanza, sbadatezza e hoaltrodafarismo ho visto due sole serie intere in tutta la mia vita (The West Wing e Studio 60), ed entrambe sottoponendomi a insensate full immersion a parecchi anni di distanza dalla loro conclusione. Non so com’è finito Friends, ho mollato E.R. dopo sette-otto stagioni a spizzichi e bocconi, sono arrivato in fondo a quel capolavoro dei Soprano con la certezza di aver lasciato per strada una dozzina di puntate, ho guardato la prima stagione di Homeland e mi sono fermato a venti minuti dalla fine dell’ultima puntata perché sono andato a bere qualcosa e non sono più tornato, sto cercando di ricordarmi a che punto della prima stagione di House of Cards mi sono fermato qualora mi girasse di riprenderla, mi pare di aver intuito che la squadra di CSI Vegas non la dirige più Gil Grissom: vanto un discreto curriculum di tempo perso, insomma. Quindi, se qualcuno fosse così gentile da farmi un bigino di quel che è successo e sta succedendo nel PD, ecco, perché ho mollato da un pezzo anche lì e l’ultima volta che ho cercato di riportarmi in pari i personaggi erano più o meno gli stessi ma mi si erano tutti mischiati di schieramento e sono andato in confusione.
19/09/2014
Io lavoro da ormai un sacco di tempo, ho girato mezza dozzina abbondante di aziende, sono entrato in contatto con qualche centinaio di altre, ho decine di amici nelle mie stesse (fortunate, per il momento) condizioni e non ho mai – ripeto: mai – sentito qualcuno che fosse stato toccato dall’articolo 18. Così, per dire.
12/09/2014
Io ogni tanto penso che altro che settimana corta, altro che trentacinque e trentadue ore, forse – dico forse, si sa che siam maestri nell’arte di arrangiarci – una settimana lavorativa da ottanta, ottantacinque ore spalmata preferibilmente su sette giorni impedirebbe a un buon numero di persone di avere il tempo sufficiente per rendersi ridicole nello scrivere e sottoscrivere indignati appelli e richieste di dimissioni di qualunque carica istituzionale conosciuta causa orso morto nell’espletamento delle sue funzioni.
04/09/2014
Non l’ho vista salire, forse avevo già gli occhi sul Kindle, o forse guardavo fuori, la linea dell’ala e i bagagli che venivano caricati. Non so che faccia ha, me la immagino sugli otto, nove anni, ancora un pochino paffuta, castana, gli occhi chiari. E’ seduta proprio dietro di me, i genitori e il fratello maggiore le hanno regalato il posto vicino al finestrino, ed è il suo primo volo. E’ nervosa ed eccitata ma senza isterismi, chiede perché si muovono i flap, chiede cosa succederà adesso, nel momento in cui l’aereo curva io e lei e tutti quelli che stanno nella nostra posizione possiamo vedere la pista stendersi dritta con la striscia bianca di mezzeria che segna la direzione e in quel momento posso avvertire il suo respiro che si sospende per un attimo lunghissimo che durerà fino allo stacco, al puntare verso l’alto. E’ fantastico quanto possa stare dentro una voce, quando realizza per la prima volta nella sua vita, in un istante indimenticabile nel quale si concentra tutto il più puro stupore di una bambina, com’è il mondo visto dall’alto dice solo che bello e pare che quelle siano le sole parole giuste, le sole che abbiano un senso. Per la prima mezz’ora del volo, del suo primo volo, smetto di leggere e non faccio altro che guardare fuori, e farlo con i suoi occhi ascoltando le sue parole, che non sono molte, ripeterà altre cento volte che bello, lo dirà entrando nelle nuvole, e poco dopo uscendone, lo dirà vedendo la carta crespa delle Alpi, lo dirà vedendo le case di paesi e città là sotto, lo dirà vedendo in lontananza la sagoma di un altro aereo che va chissà dove, chiama il fratello e gli dice Samu hai visto che bello e lui, incredibilmente, non se la tira, non fa il superiore e le dice solo sì. Penso che come tutti i ragazzini della sua età Martina ha davanti una vita nella quale finirà per perdere il conto dei suoi voli e forse, come me, un giorno si troverà, sconcertata, a frugare nella memoria senza riuscire a ricordare il giorno in cui per la prima volta vide come splende il sole sopra le nuvole e per questo un po’ mi dispiace per lei, e per me, vorrei quasi alzarmi e girarmi e dirglielo come se fossi un vecchio zio, ricordati tutto Martina, ricordati tutto di oggi, di questa mezz’ora nella quale sei la bambina più felice e fortunata del mondo, ma in fondo sarà quel che sarà e magari lei avrà una memoria migliore della mia o forse semplicemente non importa e conterà solo che in quell’istante, quel decimo di secondo nel quale ha capito di essere in cielo fosse tutto così bello e forte e indicibile da poter solo mormorare che bello.
01/09/2014
Io sono uno che si è messo come dichiarazione d’intenti la frase di Marquez sulla vita che è quella che si ricorda, mica quella che si è vissuta, e allora figurati se non mi affascinano queste storie sulla memoria, prima quella degli scienziati che lavorano sul cervello per cancellare i brutti ricordi (lo so, niente di nuovo sotto il cielo: centinaia di vittime di eventi traumatici vengono trattati in questo modo per contenere i danni ed evitare che il resto della loro vita venga totalmente rovinato dai ricordi di quei momenti e dal modo subdolo in cui possono condizionare aspetti della vita apparentemente del tutto scollegati), e poi quella fantastica di Christoph Kramer, che gioca la finale dei mondiali, prende una botta in testa e non si ricorda di un solo secondo di quei trentuno minuti passati in campo (che poi se vogliamo la cosa ancora più fantastica è che Kramer quella partita mica doveva giocarla, l’hanno mandato in campo all’ultimo minuto perché Kedira si è infortunato, a guardarla bene non si ricorda una cosa che non doveva fare). Leggo, ci penso, prima mi viene da dire eh ma mica è giusto, la vita è tutto, tutto insieme, e passi per quello che non sai che è successo, ma addirittura metterci le mani e passarci sopra la gomma, quella con un pezzo rosso per la matita e uno blu per la penna così andiamo sul sicuro, mi viene da dire che c’è qualcosa di sbagliato, no no no non si fa così, epperò poi mi dico che in fondo uno le malattie le cura, quantomeno ci prova, se hai la febbre ti prendi la tachipirina, se un certo episodio ti si è incistato da qualche parte e marcisce rovinandoti dei pezzi di vita e qualcuno è capace di passarti un mociovileda nella testa e fare pulizia e non farti stare più male non c’è nulla di sbagliato no? e insomma alla fine non sono sicuro, c’è una certa bellezza anche nel casino che queste storie ti mettono in testa, in fondo pensa come sarebbe bello, come sarebbe giusto se qualcuno potesse ridare a Kramer quello che era suo, non fargli perdere per sempre la cosa più bella che ha vissuto, non costringerlo a guardarsi in televisione per convincersi che sì cazzo, ho giocato la finale dei mondiali, c’ero anch’io, epperò questo vuol dire riscrivere la storia, quella con la minuscola, quella personale di un ragazzo di ventitre anni, che è il primo passo del poterla riscrivere del tutto, pure quella con la maiuscola – non so, magari voi un’idea chiara al riguardo ce l’avete, io no, e non so nemmeno se voglio averla.
|
|
|