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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    31/03/2015

    (Brother) Where art thou

    Filed under: — JE6 @ 16:17

    Fa’ la cosa giusta, dice, come se io lo sapessi, come se io potessi saperlo cos’è la cosa giusta, come se non avessi il dubbio che la cosa giusta non sia altro che la cosa che vorrei, come se non temessi che la cosa che vorrei resti bella per i primi cinque minuti e poi puff, come se non pensassi, almeno ogni tanto, che le cose vanno come devono andare e le persone pure, come se non cercassi di non sentire l’ansia della clessidra, tutto il tempo che passa da una parte all’altra e tutto il tempo che sparisce fino a quando non ce n’è più, fa’ la cosa giusta, dice, ma a me basterebbe tornare un po’ indietro, un anno, cinque, non lo so, tornare a sentirti parlare, a sapere come stai e a non chiedermi se è la cosa giusta, perché è la sola cosa possibile.

    23/03/2015

    Opera Buffa

    Filed under: — JE6 @ 14:02

    Anni fa mi resi conto, leggendo uno studio, che facevo parte di quel cinquanta per cento di soggetti che se prende in mano una rivista o un quotidiano inizia a sfogliarla dal fondo; penso che a questa mia abitudine non fosse estraneo il posizionamento delle pagine sportive e degli spettacoli, che sono le prime che leggo a meno di undicisettembri. Perché per leggere Crosetti uno debba arrivare ancora oggi a pagina quarantasette è una cosa che sfugge alla mia comprensione: e non perché Crosetti sia imperdibile sempre e comunque, ma perché scrive (lui e molti altri che fanno il suo mestiere) di cose e persone che quasi sempre dicono di un paese e di un tempo almeno quanto viene fatto da politici e megamanager. Un giorno si capirà che Madonna e Michael Jordan sono storia e cultura e identità allo stesso modo di Hopper e Nixon, che Puskas nella storia dell’Ungheria non è secondo a Liszt e in quella della Spagna a Goya, un giorno si riscriveranno i sussidiari e Crosetti andrà in pagina due, e sarà sempre troppo tardi.

    21/03/2015

    Le previsioni danno pioggia

    Filed under: — JE6 @ 19:07

    Siamo lì che costeggiamo una sopraelevata, gli aerei che atterrano e decollano sembrano vicini da poterli toccare, abbiamo finito gli incontri della giornata ma parliamo ancora delle cose da fare, di lunedì, non ti preoccupare che l’offerta la chiudo in treno tanto abbiamo tre ore da passare, siamo lì con mezzo piede nel weekend e tutto il resto ancora nella settimana lavorativa quando uno dice ma la primavera inizia oggi o domani e in quel paio di secondi che servono a elaborare la risposta mi viene in mente la festa della fioritura dei ciliegi a Shanghai, Gucun Park e le sue migliaia di alberi fioriti e la folla che camminava sull’erba col naso all’insù a guardare i colori nel primo giorno in cui si poteva stare in maniche corte e non avere freddo e non avere caldo, godendo quell’istante perfetto, fragilissimo e altrettanto breve in cui è tutto al suo posto, in quel paio di secondi la rivedo quella domenica a Gucun Park, mi volto e dico “domani, ma le previsioni danno pioggia”.

    11/03/2015

    La mamma, i sapienti, la sineddoche e il metodo Report

    Filed under: — JE6 @ 09:03

    Mia mamma, come tutte le mamme, mi ha dato una discreta quantità di consigli. Molti, come tutti i figli, non li ho seguiti, ma uno sicuramente sì: stai attento alle compagnie. Naturalmente nei limiti del possibile, perché è bastato poco per capire che l’idea di essere l’unico artefice della mia vita era bacata come Windows Vista, e quindi c’erano parecchie cosette fuori dal mio controllo. Per dire, i colleghi mica te li scegli: arrivi in un’azienda, ti danno una scrivania, e chi c’è c’è, non è che puoi dire questa sì e quello no come ti pare. E però, sempre i colleghi, un po’ te li scegli: quelli con i quali ti fermi due minuti in più alla macchina del caffè, quelli che dopo un annetto allora ci fermiamo al bar qui sotto e beviamo qualcosa. Per dire, appunto. Gli ambienti, i microcosmi non sono quasi mai completamente imposti: al loro interno ti ci scavi la tua nicchia, e la riempi; o entri nelle nicchie altrui. A me, che non ho un Q.I. sopra la media, questa è sempre stata una cosa piuttosto chiara fin da quando avevo otto anni (no, in effetti non mi posso definire un bimbetto precoce), ed è rimasta tale da allora in poi. Evidentemente però non è così per tutti. Non lo è per una serie di sapienti che ho letto qui e là in questi giorni, quelli che parlando e scrivendo di un certo ambiente sociale non hanno trovato di meglio che ricorrere alla sineddoche e far diventare la loro esperienza quella di tutti considerandola l’unica e sola possibile: nicchie? microcosmi? Ma va là, ma ti pare, troppo complicato; come se nessuno, a partire dalle loro mamme, gli avesse mai detto di stare attenti alle compagnie che si sceglievano; come se nessuno li avesse avvisati che se la loro nicchia era rissosa, rumorosa, prepotente, tronfia il problema non era dell’universo mondo ma del fatto che si erano scelti male i compagni di viaggio, i colleghi con cui fermarsi due minuti in più alla macchina del caffè, che la risposta stava dentro di loro – e infatti era quella sbagliata. La cosa fantastica di tutto questo è che molti di questi sapienti nel tempo sono diventati persone importanti: insegnano all’università, hanno un biglietto da visita con su scritto Social Media Something, scrivono libri, disegnano articolate e talvolta retribuite strategie di conversazione sociale – che è un po’ come pagare per seguire un corso di public speaking tenuto da Rain Man, a ben pensarci – e quindi, che dire, in virtù del loro status bisogna pensare che hanno ragione loro. A me rimane il dubbio del metodo Report, cioè di quella cosa che ti sembra tutto ragionevole finché non senti la Gabanelli e i suoi parlare di qualcosa che tu conosci bene, e allora capisci un paio di cose: la prima è che fai meglio a cambiare canale, e in fretta; e la seconda è che, come sempre, aveva ragione la mamma.

    09/03/2015

    Elettori, tesserati, militanti (ma amici mai)

    Filed under: — JE6 @ 18:04

    Avevo appena firmato il foglio con il quale chiedevo di essere ammesso all’ennesimo club degli eletti quando ho alzato gli occhi e invece della dolce e gentile Francesca che mi aveva assistito spiegandomi i vantaggi dei quali avrei goduto già nell’immediato futuro mi sono visto, in un’allucinazione stile 1984, il sorridente faccione del segretario del Partito democratico, quello eletto a furor di popolo nel nome del partito liquido e che un paio di giorni fa si è dato una pacca sulla fronte e ha detto: “Oh raga, secondo me qui dobbiamo far tornare ‘sto partito una roba per iscritti che abbiano la tessera in tasca”.

    Il resto è su Left Wing, quella di bit.

    02/03/2015

    Nel lungo periodo

    Filed under: — JE6 @ 13:55

    Forse ha ragione Chuck Klosterman quando dice che nel lungo periodo quelli che rimangono – quelli che lasciano davvero un segno, quelli che si scolpiscono nella memoria – sono i progressisti perché gli umani sono fatti per cambiare, e quindi in qualche modo è solo o almeno principalmente una questione di pazienza. Però ecco, è come l’orologio biologico, il tempo passa: e lo passiamo in un’epoca nella quale chiunque, pure Al Baghdadi, può definirsi e trovare qualcuno che lo definisce un progressista, non c’è un partito conservatore che non sia un paladino del cambiamento perché dai, lo sanno tutti che omen nomen è una cazzata; lo passiamo così il nostro tempo, navigando verso il lungo periodo, quello nel quale – diceva quel progressista – saremo tutti morti.