Un violino nel buio
E’ un normale venerdì sera di dicembre quando usciamo dalla fermata della metropolitana e ci guardiamo intorno e pensiamo certo che è un inverno strano, a momenti non c’è nemmeno bisogno del cappotto, e prendiamo le nostre strade verso casa o verso un aperitivo o uno dei modi che ci siamo costruiti per staccare dal lavoro, dai pagamenti, dalle bombe, dalle polveri sottili, dalle pagelle. Poi sentiamo un suono, acuto e dolce, lo seguiamo con le orecchie fino a trovarlo con gli occhi, sta là, una trentina di metri davanti a noi, un uomo di mezza età vestito solo di una camicia e un gilet, che cammina da solo suonando un violino. Non ha nessuno intorno, né sembra che lui voglia avere compagnia, cammina inoltrandosi nei cortili, andando verso l’ufficio postale che ha abbassato le serrande una mezz’ora prima, cammina e suona e pare che suoni giusto per se stesso, per il gusto di farlo dopo aver passato la giornata sui vagoni della linea rossa a dire buongiorno grazie buona fortuna e a raccogliere spiccioli in un bicchiere di McDonald’s. Lo guardiamo allontanarsi e perdersi nel buio, con il suono del violino che si affievolisce, e sembra tutto strano, abbastanza da chiederci se sia vero o se Fellini sia tornato a girare qualche scena nella periferia di Milano, fino a quando non sentiamo più nulla, non vediamo più nulla, e con la mano cerchiamo nella borsa le chiavi di casa.