Niente resterà impunito
Qualche anno fa sono andato a Barbiana, il paese della scuola di don Milani, quello della lettera alla professoressa. Prima di andarci mi sono letto quasi tutte le sue cose, e una volta tornato ho avuto l’occasione di incontrare uno dei suoi “ragazzi”, uno che a scuola con lui e da lui ci era andato davvero. Quel prete e i suoi ragazzi passarono per rivoluzionari perché pretendevano il diritto all’accesso alla cultura, alla conoscenza, all’istruzione in modo da poter capire in che mondo vivevano, quali meccanismi lo regolavano e avere qualche possibilità in più di costruirsi una vita migliore. La cultura, la conoscenza, l’istruzione che pretendevano erano quelle di tutti e per tutti, che a loro venivano negate per motivi di censo, perché la società nella quale vivevano si fondava su un sistema di caste: e questo era ciò a cui si ribellavano. I rivoluzionari volevano essere come gli altri, in un certo senso: avere le stesse carte in mano per poter capire. I rivoluzionari non si vergognavano di definirsi ignoranti: sapevano di esserlo, e non volevano esserlo più, e per non esserlo più volevano poter leggere e studiare gli stessi libri e giornali che stavano in mano ai “figli di papà” e così capire il mondo. Sono passati cinquant’anni esatti da quando usci “Lettera a una professoressa“, e un enorme numero di persone che dispongono di un altrettanto enorme numero di strumenti di conoscenza anche grazie a quel prete e a quei ragazzini rivoluzionari loro malgrado sono fermamente convinte che “tutto ciò che conoscete è falso”, e credono di fare la rivoluzione perché la sanno più lunga, così lunga da essere stati capaci di smascherare i trucchi dei potenti, così lunga da rifiutare quegli strumenti di conoscenza che, così lunga da ritrovarsi, cinquant’anni dopo, ignoranti come coloro che non volevano esserlo più. Un tempo si diceva “Niente resterà impunito“. Non so, speriamo.