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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    18/10/2017

    Magia

    Filed under: — JE6 @ 17:02

    Non ricordo che anno era e non ho voglia di andare a cercare nella loro autobiografia, poteva essere il 1986, un anno prima, un anno dopo. Non avevano il batterista, noi stavamo seduti letteralmente a cinquanta centimetri dal palco e ci cadevano le loro gocce di sudore sui piedi e potevamo toccare la bambola gonfiabile che portavano ogni volta che suonavano. Una sera iniziarono il concerto facendo spegnere tutte le luci in sala, un buio pesto che non ti potevi vedere la mano nemmeno ad attaccarla al naso, e tennero spenti luci e strumenti per un tempo che sembrò infinito fino a quando un ragazzo disse a voce alta “oh dai che domani si va a lavorare” e la sala scoppiò in una risata omerica e loro iniziarono a suonare. Il Magia stava in una via della quale non ricordo il nome e che non ho voglia di andare a cercare su Google Maps, dietro corso Vercelli. Nella piazzetta lì vicina c’era ancora il negozio de “L’Onestà” e nessuno rideva a leggere quel nome. Scendevi le scale, la sala dove suonavano i gruppi stava in una specie di grosso scantinato pieno di schermi che passavano musica, forse era MTV, so che una sera in attesa che loro iniziassero a suonare ci guardammo un pezzo di concerto dei Weather Report che noi, ignoranti di periferia, non avevamo la minima idea di chi fossero. Loro erano bravi, molto più di della media, e facevano ridere e a loro modo raccontavano cose che noi conoscevamo, noi più degli altri perché eravamo della stessa città, delle stesse scuole, e forse è per questo che li abbiamo seguiti per una vita intera, perché erano dei nostri, erano un po’ noi – almeno quanto noi eravamo un po’ loro. Il Magia ha chiuso da una vita e a Milano si è smesso di sparare per strada e ci sono le palme in piazza Duomo e l’anno prossimo apre Starbucks e sappiamo tutti di quanti mesi è Chiara Ferragni e c’è un tempo per ogni cosa, purtroppo o per fortuna.

    12/10/2017

    Lontano da dove

    Filed under: — JE6 @ 17:04

    Ieri è stata una giornata come molte altre per uno che fa il mio lavoro (in sostanza: vendere). Alle 8.30 sono partito da Milano. Alle 9.05 sono entrato in Svizzera. Alle 9.55, dopo aver sperimentato l’inatteso talento dei ticinesi di incasinare i numeri civici in un modo da far invidia ai cinesi, cercando di raggiungere gli uffici direzionali delle poste elvetiche sono finito prima in un solarium gestito da una signora apparentemente slava e poi dentro una chiesa di avventisti orientali (nel bel mezzo della loro funzione, ma questa è un’altra storia). Alle 13.40 ho fatto ingresso a Cinisello Balsamo, che ci tiene a far sapere di essere e considerarsi «città europea». Alle 14.00 mi sono seduto per mangiare una pizza margherita cucinata da un ragazzo turco in un locale adornato da gigantografie della Cappadocia e di Istanbul. Alle 17.30 ero nuovamente a Milano, per un appuntamento con un signore il cui cognome denunciava chiaramente l’origine sarda, stipendiato da una nota casa automobilistica francese.

    Il resto qui, su Left Wing.

    09/10/2017

    Ciò che siamo

    Filed under: — JE6 @ 17:05

    Ogni tanto viene fuori un articolo che spiega, analizza, disseziona il fenomeno degli haters, di quelli che passano il loro tempo (non solo quello nominalmente libero, si direbbe) a stare su Internet e scrivere male di qualcuno, e più spesso di chiunque. Di solito il ritratto che ne viene fuori è una cosa riassumibile in “sembrava tanto una brava persona”. Sembrava, appunto. Perché forse aveva ragione Michael Lewis, più di quindici anni fa, quando Internet era ancora in fondo una cosa di nicchia e per nicchie e raccontando la storia di Jonathan Lebed – un quindicenne che finì sotto inchiesta per manipolazione dei mercati azionari – scrisse “il punto vero della storia di Jonathan Lebed era che lui si era inventato su Internet (…); qui, dove nessuno poteva vedere chi era, divenne ciò che lui era“. E forse è così, davvero, per tutti noi.