Magia
Non ricordo che anno era e non ho voglia di andare a cercare nella loro autobiografia, poteva essere il 1986, un anno prima, un anno dopo. Non avevano il batterista, noi stavamo seduti letteralmente a cinquanta centimetri dal palco e ci cadevano le loro gocce di sudore sui piedi e potevamo toccare la bambola gonfiabile che portavano ogni volta che suonavano. Una sera iniziarono il concerto facendo spegnere tutte le luci in sala, un buio pesto che non ti potevi vedere la mano nemmeno ad attaccarla al naso, e tennero spenti luci e strumenti per un tempo che sembrò infinito fino a quando un ragazzo disse a voce alta “oh dai che domani si va a lavorare” e la sala scoppiò in una risata omerica e loro iniziarono a suonare. Il Magia stava in una via della quale non ricordo il nome e che non ho voglia di andare a cercare su Google Maps, dietro corso Vercelli. Nella piazzetta lì vicina c’era ancora il negozio de “L’Onestà” e nessuno rideva a leggere quel nome. Scendevi le scale, la sala dove suonavano i gruppi stava in una specie di grosso scantinato pieno di schermi che passavano musica, forse era MTV, so che una sera in attesa che loro iniziassero a suonare ci guardammo un pezzo di concerto dei Weather Report che noi, ignoranti di periferia, non avevamo la minima idea di chi fossero. Loro erano bravi, molto più di della media, e facevano ridere e a loro modo raccontavano cose che noi conoscevamo, noi più degli altri perché eravamo della stessa città, delle stesse scuole, e forse è per questo che li abbiamo seguiti per una vita intera, perché erano dei nostri, erano un po’ noi – almeno quanto noi eravamo un po’ loro. Il Magia ha chiuso da una vita e a Milano si è smesso di sparare per strada e ci sono le palme in piazza Duomo e l’anno prossimo apre Starbucks e sappiamo tutti di quanti mesi è Chiara Ferragni e c’è un tempo per ogni cosa, purtroppo o per fortuna.