Zia
Abitava due piani sopra il nostro, aveva l’età di mio padre e perso una bambina che si chiamava col nome che molti anni dopo avrei dato a mia figlia. Ho passato non so più quante ore a casa sua, ascoltando il suo milanese rotondo e l’accento beneventano di suo marito. La chiamavo zia, come si fa con gli adulti che per i casi della vita diventano parte della esistenza di un bambino a dispetto dei legami di sangue; e come una zia mi seguiva, chiedeva notizie a mia mamma, si inorgogliva dei miei risultati scolastici. Non ha mai cambiato casa, così mi capitava di incontrarla, una volta adulto, quando andavo a trovare i miei, e mi sorrideva, e mi chiedeva con quel più di affetto e interesse che si ha per un pezzo di famiglia e per qualcuno che senza volerlo forse ti ricorda ciò che sarebbe potuto essere e non è stato: facevo giri di parole, mi sembrava strano e incongruo chiamarla ancora zia ma quello era e sarebbe sempre stata. E’ morta ieri, e poco prima ha chiesto di me e della mia famiglia a mia madre, che l’ha visitata tutti i giorni di questi ultimi mesi: stanno bene, stanno tutti bene, F è brava a scuola, ha detto mia madre, e lei ha sorriso e ha risposto orgogliosa “come suo papà, era bravo anche lui”. Dì una preghiera per lei, mi ha detto mamma ieri sera al telefono, ti ha voluto bene per tutta la vita, e io lo so, e spero che le sia lieve la terra.