Hanno comprato anche
C’è una frase che mi sembra di sentire e leggere sempre più spesso: ho dato un’occhiata fuori dalla mia bolla, mi ha fatto paura (ribrezzo, orrore: è questione di misura, diciamo) e sono rientrato, adesso mi sento meglio. Lo dico e lo penso anch’io, intendiamoci. Soprattutto lo faccio. Frequento gente come me, parlo con gente come me, leggo gente come me. Oddio, capiamoci: cerco di frequentare e parlare con e leggere anche e a volte soprattutto gente migliore di me, ma il punto è che si tratta quasi sempre di persone che abitano quel pezzo di mondo nel quale mi sento più o meno a casa: una bolla, insomma; bella grossa (se non mi suonasse ridicolo per motivi estetici, direi che il concetto lo aveva già espresso Jovanotti, da Madre Teresa a Che Guevara: un pout pourri scalcagnato, ma i monetaristi di Chicago, i sovranisti di mezzo mondo e Houllebecq ne stavano fuori) ma pur sempre bolla. La vita è troppo breve e incasinata per avvelenarsi e perdere tempo dietro agli idioti dell’orrore mi dico, ma so che non mi faccio un favore; o meglio, lo faccio a me stesso ma non alla società, a quell’insieme di singoli come il sottoscritto che giorno dopo giorno rappezzano e rinforzano la loro bolla, a volte consapevolmente e a volte no.
E a proposito di “a volte no”: qualche mese fa quelli dell’Economist si sono messi di buzzo buono e hanno analizzato gli acquisti di libri di stampo politico-sociale fatti su Amazon sulla base dei suggerimenti dati dalla stessa Amazon con il giochino del “i clienti che hanno comprato questo che stai considerando tu hanno comprato anche”. Beh, tu guarda la sorpresa: chi compra libri “di sinistra” continua a comprare libri “di sinistra” acquistati da altri, e chi compra libri “di destra” fa altrettanto da parte sua. Nessun cedimento, nessuna crepa: una bolla non più di sapone ma di cemento e poi di acciaio alimentata inconsapevolmente da uno strumento che certo ti rende la vita più facile – quelli che hanno comprato questo telefono poi hanno comprato anche questo caricabatterie, significa che è quello giusto, o quello col miglior rapporto qualità/prezzo – ma a lungo andare ti rende anche più sordo e cieco e stupido; è un meccanismo di efficienza spettacolare, lo aveva capito – quando ancora non esisteva – Stewart Brand, quello del “Whole Earth Catalog”, che diceva che era inutile ammazzarsi di fatica per trasformare la testa della gente con i ragionamenti e le idee, bastava cambiare gli strumenti usati giorno dopo giorno e tutto sarebbe venuto da sé. E’ semplice e funziona benissimo, perché la verità è che passiamo la gran parte della nostra vita con il pilota automatico innestato, facendo cose senza pensarci sulla base della comodità e dell’abitudine: gli altri clienti hanno comprato questo, basta un click e lo faccio anch’io e mi sono tolto il pensiero.
Come se ne esce? Non lo so. Non so nemmeno se ne voglio e ne vogliamo uscire, non so se ho abbastanza fiducia nell’umanità – la stessa che contribuisco a comporre: quindi in me stesso – per pensare che dare un’occhiata e fare almeno quattro passi nel campo avverso non sia solo una possibile interessante esperienza sociologica ma una cosa giusta e buona in sé, una specie di dovere civico fondato sulla consapevolezza che la disponibilità a riconoscere l’altro è un mattone fondamentale della convivenza. C’è quel bottone, i tuoi hanno comprato questo, fallo anche tu. Click.