Nostra Signora del Lavoro
Non avevo mai fatto caso al fatto che un museo come la Galleria degli Uffizi, un posto che raccoglie opere d’arte di un certo periodo – non breve, ma in fondo nemmeno così lungo – della storia è anche se non soprattutto una stupefacente collezione di raffigurazioni della Madonna. Lei, la ragazza di Nazareth al cui nome sono stati agganciati migliaia di aggettivi e attributi di qualsiasi genere. Non so perché l’ho notato, a volte le cose sono semplicemente così, nascoste in bella vista sotto gli occhi, sta di fatto che a un certo punto lei era lì quadro dopo quadro, una volta a ricevere l’annuncio della futura maternità, una volta a tenere in grembo la testa del figlio morto, cento altre a reggere un bimbetto nudo, paffuto e troppo cresciuto. Era come se fosse sempre lei il centro della scena, anche se il Dio era un altro, anche quando la costruzione dell’immagine voleva portare gli occhi di chi guardava da un’altra parte. E’ stato allora, passando da un volto di Maria di Nazareth all’altro, che mi è sembrato di notare che nessun artista l’avesse raffigurata dandole l’espressione composta da un misto di felicità e orgoglio che siamo abituati a vedere sul volto delle mamme che conosciamo, quelle che andiamo a trovare in ospedale dopo la nascita di un figlio, quelle che vediamo in televisione a Capodanno – qui vediamo Carla con in braccio Sofia, nata nella clinica Mangiagalli solo trentacinque secondi dopo la mezzanotte che ha scandito l’inizio del nuovo anno. No, Maria di Nazareth aveva sempre lo sguardo di una ragazza diventata donna molto, forse troppo presto, che sa che la sua vita non sarà più la stessa e no, non sarà una passeggiata, tutt’altro. Di più: una ragazza che, con quel fagotto di carne e capelli in braccio, sa di avere un lavoro, un compito. Non sa quale, ma sa di averlo. Sa di non poterlo evitare, ma sembra che non voglia nemmeno provare a scansarlo. Ha la faccia dei ragazzi seri, maturi, che si ritrovano ad avere a che fare con qualcosa di più grande di loro che proveranno a ridurre alle dimensioni delle loro forze, e sarà quel che sarà. Non l’avevo mai vista in questo modo e non posso dire che quei pittori hanno veramente voluto dipingere quel che io ho creduto di vedere; so che quel che ho provato è stato un sentimento strano, che non saprei come definire se non stima, e tu guarda gli scherzi che fa l’arte.