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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    29/10/2020

    Ben bene

    Filed under: — JE6 @ 15:54

    Non c’è un solo motivo per cui David Foster Wallace mi manca praticamente ogni giorno che il buon Dio, o chi per lui, manda in terra (e con lui l’idea rasserenante che arriverà ancora qualcosa di suo, che possiamo tutti contare su di lui, la sua intelligenza smisurata, la sua abilità mostruosa, la sua sensibilità umana tanto meravigliosa quanto poco apprezzata), ma fra questi ha di sicuro un posto privilegiato quella capacità sovrannaturale che aveva di dire con il numero minimo possibile di parole delle verità che noi, suoi coetanei, cercavamo e continuiamo a cercare di nascondere con tutte le nostre forze. Ad esempio: “La verità alla fine vi renderà liberi, ma solo dopo avervi sistemati ben bene”.

    06/10/2020

    Io e il generale (di domande, risposte, presenze e assenze)

    Filed under: — JE6 @ 17:05

    Qualche giorno fa mi hanno fatto un’intervista sul viaggio in Bosnia e sul libro che ne è venuto fuori. E’ stata la mia prima volta (mi pare: non che abbia avuto tanti altri motivi per rilasciare interviste), ed è avvenuta mentre stavo a metà dell’unico libro che mi mancava di Svetlana Aleksievič, la grandissima scrittrice bielorussa che nella sua vita non ha fatto altro che pubblicare capolavori imperdibili. Quando le ha dato il Nobel cinque anni fa, l’Accademia di Stoccolma ha definito la scrittura della Aleksievič “polifonica”, che in sostanza significa “concepito o eseguito in contemporanea da una molteplicità di strumenti o voci”. La cosa straordinaria è che in quella polifonia c’è una voce che spicca su tutte e lo fa per assenza: ed è proprio quella dell’autrice. Per centinaia e centinaia di pagine, per libri e libri si “sentono” le voci di tutte le persone che la Aleksievič ha incontrato in decenni di peregrinazioni per la ex Unione Sovietica (e farle percepire nelle loro infinite sfumature e diversità fino a renderle tanto reali da fartele avvertire come se stessero lì con te sul divano è un esercizio di empatia e tecnica di difficoltà mostruosa che lei supera in modo celestiale: ogni tanto con i Nobel riescono ancora ad azzeccarci); come nelle interviste a uomini schifosi di David Foster Wallace ci sono tutte le risposte ma nessuna domanda, ci sono tutti gli altri ma non c’è lei che pure invece avverti a ogni passaggio, riesci a vedertela seduta a un tavolo di legno nell’oblast di Minsk o in un appartamento in condivisione a Kursk che lascia scorrere il fiume e al tempo stesso lo sa indirizzare per far emergere non ciò che vuole lei, ma ciò che l’intervistato desidera senza nemmeno esserne del tutto consapevole. Pensavo a questa cosa mentre rispondevo alle domande di Dino Huseljić (che, non ci dovrebbe essere bisogno di dirlo, ringrazio moltissimo): pensavo a quanto sia difficile dare risposte, ma ancora di più a quanto lo sia fare domande; a quanto spesso e soprattutto come questo meccanismo, questa specie di ballo tra due soggetti si ripete ogni giorno in una sinusoide di imposizioni e disponibiità più o meno inespresse: cosa vorrà sentirsi dire, cosa voglio sapere, cosa hai da tirare fuori. E’ un esercizio di equilibrismo, delicatezza, imposizione, desiderio, comprensione difficilissimo e infatti quante volte nella vita capita che ma questo non me l’hai detto, lo so ma tu non me l’hai chiesto. Vivere, diceva Philip Roth, è capire male la gente e poi capirla male ancora e continuare a provarci: guarda cosa ti fa pensare un’intervista, guarda cosa dovremmo pensare ogni volta che ne leggiamo una.

    02/10/2020

    La prossima home page

    Filed under: — JE6 @ 12:34

    Ho questo amico che ha circa la mia età, giusto un paio di anni in più. Vuol dire essere a metà della mezza età, grosso modo: posto che oggi come fai a dire a che punto stai, ché la vita è diventata un elastico capace di tendersi fino a un punto che i nostri nonni mai avrebbero immaginato possibile e allora giovane e vecchio chissà cosa significano.

    Comunque: è da un po’ che questo amico mi dice “non ho più voglia di sentire cose tristi, di leggere cose lugubri e faticose, di ascoltare racconti che hanno a che fare con malattie e dolori e malinconie, ne ho abbastanza di tutta la pesantezza che accumulo senza poterla evitare”. So che un po’ recita, perché poi ascolta certi blues che se ti sfreghi due cipolle davanti agli occhi ti fai meno danni e passa ore a leggere quotidiani e riviste con il loro carico di follie e cupezze e una parte di quelle ore non sono rese obbligatorie dal lavoro; ma c’è un altro po’ che non faccio fatica a capire perché ci sono tanti giorni che il mondo là fuori (dove il fuori significa un sacco di cose che vanno dall’appena dietro l’angolo all’Antartide, il tutto nello scroll di una home page) non sembra un posto così invitante e ti devi davvero impegnare per ritagliarti un pezzo di leggerezza. E niente, oggi piove molto e dalle home page non viene praticamente nulla di buono, niente che faccia dire “va’ che bello”, ma poi quelli come me e il mio amico si sentono come gli struzzi che nascondono la testa e si sentono a disagio con se stessi, e passano alla prossima home page.