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    22/01/2022

    Evaporando a Fuxing Park

    Filed under: — JE6 @ 20:06

    Credo che fosse una domenica pomeriggio. Ero andato a Fuxing Park, non ricordo più se per un motivo particolare o meno: c’è una grande statua di Marx e Engels sotto ai volti severi dei quali mi feci ritrarre da un passante che poi, senza un motivo al mondo, mi chiese di restituirgli il favore, del tutto indifferente al fatto che poi l’immagine sarebbe rimasta a me. Chissà, forse il motivo per cui mi trovavo lì era quello, portare a Milano il volto sorridente e orgoglioso di un uomo cinese in piedi tra i due padri del comunismo.

    Comunque.

    Mi feci una passeggiata, era una fresca giornata di sole velato, decine e decine di uomini erano riuniti in enormi capannelli a discutere di questioni apparentemente molto importanti, qualcuno si fermava a leggere i giornali messi nelle bacheche di vetro vicino alle entrate del parco, due uomini dai lineamenti occidentali insegnavano a un gruppo di ragazzi cinesi i rudimenti dello snap del football americano – dal centro al quarterback, i blocchi sulla linea di attacco, il lancio al wide receiver, touchdown. C’erano mamme che coccolavano dei bambini bellissimi, anziani che giocavano a una sorta di dama, uomini che tagliavano e vendevano tranci di pesce, donne che preparavano grandi sacchetti di verdure a me sconosciute, gruppi che si apprestavano a suonare brani pop.

    Poi incontrai loro. Erano quattro o cinque, uomini e donne. Stavano ai lati di un rettangolo di una ventina di metri di lunghezza per una decina di altezza, composto da tante piastrelle quadrate di un cemento chiaro e levigato ma non scivoloso. Vidi il primo che entrava, come un pugile che dall’angolo si porta al centro del ring. Portava un secchio d’acqua in una mano e una specie di grosso pennello con il manico lungo forse mezzo metro e una grossa punta conica nell’altra: mi fermai a guardarlo. Intinse il pennello nell’acqua e, con una grazia e una leggerezza che non ho più dimenticato, iniziò a disegnare ideogrammi su quella superficie dove sicuramente in altri momenti della giornata la gente ballava o faceva pattinare i figli. Andò avanti per qualche minuto, un paio di segni per piastrella, tre o quattro piastrelle, senza mai far cadere una goccia che non fosse voluta; quando i primi ideogrammi iniziarono a evaporare si rimise dritto, ripose il pennello nel secchio e si riportò verso l’esterno del rettangolo. Al suo posto entrò una donna di mezza età, piccola, con un giubbotto quasi leopardato e un cappello da pescatore rosso squillante; al posto del secchio aveva un recipiente come quelli che gli americani usano per il latte da bere a galloni e il pennello era leggermente più piccolo di quello che aveva usato l’uomo ma l’abilità era esattamente la stessa.

    Non so per quanto tempo rimasi a guardarli darsi il cambio quando ormai metà dell’opera dello scrivano precedente si era ormai asciugata. Tanto, comunque. Ogni tanto ci ripenso. Sono passati quasi dieci anni e li rivedo con la nettezza del ricordo indelebile, di loro e di quella bellezza gratuita che lasciavano lì ad asciugarsi al sole e sparire nell’aria, apparentemente inutile e infinitamente preziosa.