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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    28/02/2022

    Come un cattivo destino

    Filed under: — JE6 @ 14:23

    Bernard Henry-Levy ha scritto un ritratto di Volodimir Zelenskyy, il presidente ucraino con un passato di attore comico. Non ho abbastanza strumenti per giudicare né l’articolo di BHL né la persona di Zelenskyy; so da che parte stare e so che niente e nessuno può essere descritto in bianco e nero: una delle cose più difficili da fare in questi brutti giorni, stando a questa distanza dalla tragedia – piccola ed enorme al tempo stesso – è trovare questo equilibrio. O almeno così mi pare.
    E però, al netto di una certa retorica nella quale l’ego di BHL si ritaglia uno spazio di non poco conto, in quell’articolo c’è una frase per me molto bella per la sua capacità di descrivere un tipo umano che ammiro (dire che lo invidio sarebbe troppo: chi invidia qualcuno che si trova in guerra?). Di Zelenskyy, BHL dice:
    Lo vidi entrare nella compagnia esemplare di quelle donne e quegli uomini, dalla Spagna repubblicana a Sarajevo e al Kurdistan, che ho venerato per tutta la mia vita, perché non sono tagliati per quel ruolo, che gli cade addosso come un cattivo destino, ma riescono ad assumerlo con bravura e imparano a fare la guerra senza amarla.
    Non è solo questione di saper fare buon viso a cattivo gioco: è farlo con dignità e responsabilità, è quello che fa tutta la differenza del mondo. E se Zelenskyy è solo la metà di quel che il pezzo rischiosamente agiografico di BHL descrive, beh, è una persona che mi piacerebbe conoscere.

    01/02/2022

    Il motore della vita

    Filed under: — JE6 @ 08:55

    Un paio di anni fa, più o meno in contemporanea con quello che sarebbe stato il suo ultimo rinnovo della patente, il mi’ babbo andò a farsi un giro all’agenzia di assicurazioni che lo seguiva da una vita. “Li ho fatti ridere,” mi raccontò dopo “quando gli ho detto che negli ultimi anni avevo fatto più chilometri a piedi che alla guida. A dire il vero ho riso anch’io”. Poi è arrivata la pandemia e i chilometri – quelli dietro al volante, voglio dire – si sono ridotti ancora fino praticamente ad azzerarsi. E così ha fatto abbastanza serenamente scadere la patente, per non pensarci più. Questa mattina è arrivato il mezzo che ha caricato la sua vecchia Punto, ancora in ottime condizioni perché ovviamente l’ha tenuta con cura senza alcuna mania, sono state firmate quattro carte e poi siamo rimasti lì qualche minuto mentre la sua auto veniva portata alla demolizione. “Dai, è solo una macchina,” verrebbe da dire. E un po’ è vero, se non fosse che il mi’ babbo ha iniziato a guidare settantuno anni fa e che lui aveva un dono di natura per qualunque aggeggio a motore: non aveva studiato, non aveva fatto apprendistato da un meccanico – soggetto ovviamente sconosciuto nelle colline nuragiche dalle quali era venuto via nel 1951 – ma bastava un motore a scoppio e lui era nel suo. Camion, autoblindo, jeep, e la Guzzi 500 sulla quale avrebbe passato più o meno dodici ore al giorno per più o meno quindici anni. I motori, questa è una cosa che ho realizzato solo moltissimo tempo dopo, un po’ per caso e un po’ per sua scelta lo avevano reso adulto e libero. E oggi era un po’ così, malinconico: stellina.