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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    05/02/2019

    L’ospite

    Filed under: — JE6 @ 14:10

    Abbiamo a casa un’ospite. E’ arrivata qualche giorno fa, ripartirà tra qualche giorno. C’è stata un po’ di preparazione, fare spazio in un armadio, spostare un letto, cose così. Niente di particolare, avessi scattato quattro foto dieci giorni fa e le scattassi oggi non si noterebbero differenze – o quasi, ok. Eppure, solo per il fatto che è arrivato qualcuno è proprio cambiato lo sguardo; la stessa cosa la vediamo in modo diverso. Anzi, in molti casi la vediamo, mentre prima non ci facevamo caso. Quel mucchietto di carte sopra il forno a microonde. Quella piccola crepa per una vecchia infiltrazione. La posizione degli accappatoi in bagno. Gli otto libri appoggiati in attesa di rimettere mano a tutta la parete. La punta di un coltello. Siamo a casa nostra e la guardiamo con gli occhi di un’altra persona, così come facciamo quando per una volta non attraversiamo la piazza guardando lo schermo del telefono come tutte le mattine ma ci fermiamo davanti al Duomo e lo guardiamo indicando alla persona che stiamo accompagnando quella guglia o quel pezzo del portone di sinistra. Dovremmo avere un’ospite almeno una volta all’anno, per vedere chi siamo.

    12/07/2017

    Telefonami tra vent’anni

    Filed under: — JE6 @ 13:57

    Qualche settimana fa ho cambiato lavoro. Per uno degli scherzi della vita sono tornato in un’azienda nella quale avevo già passato sette anni di vita e dalla quale ero andato via otto anni fa. Con l’età può succedere: si cammina per un sacco di tempo, gira qui, gira lì, gira ancora e a volte finisce che ti ritrovi in un posto dove eri già stato, un posto dove le cose sono uguali e diverse. Un po’ come te. Una delle cose che sono cambiate è la tua rubrica, che non ti ha abbandonato mai, è passata di telefono in telefono, di azienda in azienda, di account in account, di trasloco in trasloco.

    Ci sono momenti, come questo, nei quali la riprendi in mano (cioè ti metti davanti a uno schermo scrollando in su e in giù) e fai il punto. Colleghi nomi a facce, facce a ragioni sociali o classi di liceo. Da quanti anni non vedo A, da quanti non sento B, C sono sicuro che non sta più lì, è andata a Londra, devo aggiornare il record, questo D non mi dice niente, che strano. Così per duemila volte, incluse un paio di pause per amici che non ci sono più e non hai avuto cuore di cancellare da quell’elenco, come se quella riga fosse una microscopica lapide del tuo personale cimitero. Arrivato alla fine ti fermi un attimo per pensare e adesso da dove comincio, e come Marta Algor Gacho ti rispondi da dove bisogna sempre cominciare, dall’inizio. Così riprendi da lì, dalla rubrica: ciao come stai, hope this finds you well, sono tornato in X, sentiamoci, vediamoci, best regards. Poi vai avanti, con gli indirizzi che non esistono più e i che bello risentirti, ed è in quel momento che senti che l’unico patrimonio vero sul quale puoi contare non è quello delle cose che sai fare ma è quello delle persone nelle quali hai lasciato un buon ricordo di te, quelle che quando suona il telefono racchiudono una vita in un istante densissimo dicendo oh ma è lei, dai sei tu, quanto tempo, che piacere.

    18/04/2017

    Grazie

    Filed under: — JE6 @ 18:39

    A volte succede che quando ci si prepara per tornare a casa non ci si limita a salutarsi, a dirsi alla prossima, ci vediamo. A volte succede che ci si stringe la mano o ci si abbraccia o ci si dà un bacio per guancia e si aggiunge “grazie”. A volte succede che quella parola è un’eredità dei genitori, forse dei nonni, un’abitudine, un eccesso di forma. A volte succede che invece no, che invece si sta davvero dicendo grazie, grazie per qualcosa di così semplice e banale che ogni altra parola sarebbe di troppo, grazie per qualcosa di così necessario per andare avanti che ogni altra parola sarebbe impossibile da trovare. A volte succede che non si è troppo distratti da altri pensieri e ce ne si rende conto, nel momento preciso in cui quella parola la si dice o la si sente, ce ne si rende conto che è proprio così e c’è una specie di pudore imbarazzato che vaga prima che si finisca con un alla prossima, ci vediamo, e si accendano i motori delle macchine e si torni davvero a casa.

    17/09/2015

    E in un istante sei a casa

    Filed under: — JE6 @ 14:00

    Questa cosa dell’anatomia degli istanti mi sta sfuggendo di mano.

    Scendo dal tram in via Dogana. Non ha niente di particolare, questa via, è come molte altre del centro di Milano, gente che aspetta alla fermata del 24, gente che ci sale, gente che la attraversa per andare da Piazza Duomo a Piazza Diaz, il sole che quando c’è arriva di sbieco perché è stretta e i palazzi sono alti. C’è una via così praticamente dappertutto, guarda adesso non saprei dirti il nome ma credimi, l’ho vista a Francoforte e a Madrid, a Londra e a Chicago, pure a Rimini, mi pare dalle parti della stazione. Scendo dal tram e faccio due passi di numero e vedo una targa all’ingresso di un portone, un rettangolo grosso di metallo nero con una sottile cornice e le lettere dorate, i caratteri che potrebbero essere degli anni Cinquanta, una targa che sta lì, ferma, a dire che al secondo o al terzo piano c’è qualcosa, uno studio legale, un dentista, ferma in mezzo agli hipster, agli impiegati, agli studenti, ai turisti, a tutta la gente che aspetta il tram e che va da Piazza Duomo a Piazza Diaz e ritorno, e nell’istante preciso che la vedo so che va bene Francoforte e Madrid e Londra e Chicago e Rimini ma la verità è che quella targa può stare solo a Milano, e che sono a casa, e non ho bisogno di fermarmi a guardarla perché è lì da una vita e per un’altra vita ci resterà, basta un istante a capirlo, a saperlo.

    Che gusto è, gli dico, e lui dice anguria, quell’altro è limone, cerco in tasca e tiro fuori un altro dollaro mezzo stropicciato, anguria grazie. Esco con il mio sacchetto e il bicchiere di plastica con la cannuccia e la granita, sto sul marciapiede aspettando il verde per attraversare uno dei due grandi boulevard che tagliano Harlem in verticale, fa caldo ma non troppo, sono l’unico bianco fino a dove arriva la vista, faccio il calcolo di quanto manca alla partenza, e nell’istante preciso in cui avverto il freddo del ghiaccio arrivare a spaccarmi il naso là sopra, proprio in mezzo agli occhi, in quell’istante lì mi dico ma bastano davvero due giorni e spiccioli per sapere e sentire di essere a casa e poi perché proprio qui, cos’ha la Bowery che non va, ma è un istante solo, di quelli lucidi e densi da sembrare colla, scuri come buchi neri, poi il semaforo cambia colore.

    14/04/2015

    Sulla piccola vetrina

    Filed under: — JE6 @ 16:58

    E’ un piccolo negozio, fa riparazioni, mette a posto cerniere lampo, cose così. A guardarlo ti chiedi come faccia a resistere, a tirare la fine del mese mettendo in linea i denti di una zip. Poi pensi che forse aiuta stare in mezzo alle due fermate della metropolitana più trafficate del centro di Milano, e forse aiutano quei cartelli che si prendono metà della piccola vetrina, uno che riporta un pezzo del discorso di Pericle agli Ateniesi, l’altro un brano della Repubblica di Platone, forse in un giorno dieci persone si fermano a leggere e di queste dieci forse una pensa che sì, dai, quella borsa posso ancora farla rimettere a posto, poi hai un attimo di lucidità e in quell’attimo realizzi che quei rettangoli di carta non hanno l’aria di richiami, di specchietti per le allodole, stanno vicini a ritagli di giornale che raccontano dei casi di corruzione per l’Expo e d’altra parte, seriamente, tu ti faresti riparare una cerniera perché uno ti legge un pezzo di Tucidide su cos’è la democrazia – ed è in quel momento, nel momento in cui stai per seguire l’onda stabile e sicura del disincanto quotidiano che ti fermi per una frazione di secondo e immagini, anzi speri che quell’uomo che vedi là dietro il banco del piccolo negozio che fa riparazioni e che si vede passare di fronte decine di migliaia di persone ogni giorno senza che una sola si fermi abbia attaccato quei cartelli senza alcun fine che non sia quello di rendere un po’ migliore il posto dove vive, e in quel momento vorresti avere una cerniera rotta, una borsa da non scartare, e entrare.

    10/04/2015

    Così perfetta da non sentirla

    Filed under: — JE6 @ 13:39

    Chissà dov’ero, e cosa stavo facendo. Perché è primavera e fa caldo, di quel caldo un po’ malato da città, che è quasi sempre troppo – sarà la giacca, la borsa con il portatile, l’asfalto, non so. Però fa un po’ troppo caldo e questo significa che probabilmente è già passato quel momento che è il momento migliore di tutta la primavera, e forse dell’anno, l’istante preciso in cui sei all’aperto e hai le maniche rimboccate e ti rendi conto che la temperatura è perfetta, così perfetta da non sentirla. E’ un istante che dura niente, e nel mentre di quel niente stai facendo altro, stai parlando, stai guardando il telefono, stai bevendo una birra; ma a volte, raramente, te ne accorgi, ed è una cosa che vorresti dire agli altri, madonna senti che bello, oppure no, vorresti stare in silenzio e sentirlo tutto quell’istante, fino a quando qualcuno ti chiama, il pane lo affetti tu, ricordati la riunione di lunedì, fino al prossimo istante, l’anno che verrà.

    08/01/2015

    Allora è così

    Filed under: — JE6 @ 08:26

    Allora è così che si spara in testa a un uomo. Per davvero. Come hanno fatto a Columbine e a Baghdad e a Palermo – perché al cinema non vale, lo sappiamo che quello è pomodoro. Allora funziona così. Guarda quanto è facile.

    31/12/2014

    Mutandine rosse

    Filed under: — JE6 @ 12:00

    Comunque non è il caso di agitarsi, è solo la fine del primo quadrimestre.

    19/12/2014

    In fondo, senza troppi lividi

    Filed under: — JE6 @ 18:06

    C’è un momento preciso e imprevedibile che arriva sempre, poco prima che ci si saluti con i chi c’è lunedì altrimenti ci facciamo gli auguri adesso, un momento nel quale si sta seduti intorno a un tavolo, magari con colleghi che durante l’anno si frequentano poco perché si occupano di cose delle quali tu non ti interessi e viceversa, e in quel momento, un istante, una questione di pochi secondi, tutti sembrano in pace con tutti, anzi lo sono, senza un motivo, senza una ragione che non sia quella specie di micidiale stanchezza che ti fa ringraziare il cielo di essere arrivato in fondo senza troppi lividi, come quando finisci una lunga corsa e un metro dopo il traguardo stramazzi a terra, ma prima di farlo abbracci tutti gli altri per il solo fatto di essere arrivati, più o meno tutti, più o meno interi. E’ un momento strano, non lo senti arrivare ma lo riconosci quando c’è. Poi passa, svelto, basta una telefonata, una mail, un orario da rispettare, ma per una mezz’ora ne senti il sapore in bocca, insieme a quello del prosecco, che resta leggero anche quando sei uscito svicolando per evitare baci e abbracci.

    24/11/2014

    Tra parentesi

    Filed under: — JE6 @ 15:35

    I giorni possono essere delle lunghe successioni di bicchieri e risate e foto, una lunga e lieve sbornia, delle parentesi tra una trasferta di lavoro e un’operazione in day hospital e un mutuo da pagare e la spesa della settimana e una fila di insufficienze; e dentro ci possono stare a volte, se si ha e se si è cercata un po’ di fortuna, altre parentesi, più piccole, fatte di pochi minuti, che si portano dentro due o tre frasi che vengono da un punto lontanissimo, da un nucleo nel quale si è condensato quasi tutto e che a sua volta si condensa in un istante preciso e casuale che arriva di sorpresa, senza fare rumore, in modo inevitabile, e allo stesso modo finisce lasciando tutti con la stessa espressione sul volto, e con la sensazione che tutto il resto è contorno.