C’è questo libro, che magari qualcuno di voi qui ha letto. E’ un ebook, uno di quegli esperimenti che a usare i paroloni si chiamano di scrittura collettiva, e in italiano – quello che parliamo più o meno tutti – passa come una raccolta di pezzi scritti da tante persone diverse (e la diversa definizione non lo rende meno nobile). Parla di Resistenza, di resistenze. Ne vengono fatti anche dei reading, cioè quelle cose che in italiano si chiamano letture pubbliche – io non so se chi ascolta sia persona diversa da chi ha scritto, ero presente la prima volta, ho sentito leggere un mio pezzo, mi sono un po’ emozionato, c’erano degli amici, poi è finita lì ma non è di questo che mi interessa parlare. E’ che qualche ora fa, entrando in ascensore, leggevo una cosa che diceva “ogni tanto spero che scoppi un casino serio, uno di quelli coi carrarmati per strada. mica per altro, eh… sono solo curioso di vedervi in piazza, a fare la resistenza. con i vostri cazzo di iPad” e mi chiedevo se noi, quelli che han scritto per il libro, quelli che vanno a fare i reading, quelli che postano le foto, mi chiedevo se noi la resistenza, una resistenza qualsiasi (e la maiuscola vedete voi se metterla o meno) saremmo capaci di farla. Ho chiesto a un amico, a quello che è il motore dell’ebook e di tutto il resto, gli ho chiesto cosa ne pensava e lui mi ha risposto “non ce l’ho una risposta. Però, ecco, se l’avessi chiesto a mio nonno nel ’35, ma anche forse nel ’42, boh, forse avrebbe risposto anche non lo so”; io ho letto quella frase, e l’ho riletta, e non so perché – o forse sì: lo so molto bene – l’ho trovata venata di un certo scettico, ammirevole ottimismo.