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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    28/06/2014

    Dacci oggi il nostro pane quotidiano

    Filed under: — JE6 @ 15:29

    Non alza nemmeno gli occhi dal piatto mentre lo fa, non crede di dire niente di particolare, sta semplicemente commentando la qualità di una panetteria, ci sono andata l’altro giorno e il pane faceva davvero e lì si ferma, giusto per una frazione di secondo, io direi schifo, direi che quel pane faceva schifo e non mi sentirei in colpa, lei invece continua e dice faceva pietà, e scuote appena la testa mentre aggiunge perché non si dice di peggio del pane, e in quella pausa microscopica e in quelle pochissime parole messe tra parentesi c’è tutta una educazione, una dignità, una consapevolezza delle cose, una storia di generazioni e fatiche, c’è tutto quello che lei ha vissuto e io no, tutto quello che lei ha dentro e io non ho, tutto quello che lei è e io non sono se non in misura tenue e sfibrata anche se lei è mia mamma, in quella pausa microscopica e in quelle pochissime parole c’è dentro qualcosa che mi piacerebbe tanto avere ed essere a costo di essere fuori dal mio tempo e dal mio mondo, qualcosa che con me si è stinto e che quando lei non ci sarà più sarà scomparso del tutto.

    25/06/2014

    Il mercatino delle rose

    Filed under: — JE6 @ 08:00

    E’ quasi l’una di notte quando, davanti all’ennesimo chiosco di fioristi aperto e illuminato che neanche al carnevale di Rio, gli dico che mi affascina questa cosa di Roma, quanti sono, e sempre aperti. Lui, accelerando, prova a smontarmi la poesia, guarda che non si spiega mi dice, l’unica ragione è che spaccino, come vuoi che si mantenga tutta ‘sta gente vendendo fiori. Anche se non mi vede faccio sì con la testa, e però è bello vederli, a Piazza Vittorio, a Colle Oppio, poco dopo Ponte Flaminio, here there and everywhere, ed è bello pensare che un insonne possa andare alle quattro del mattino e comprare una pianta, che uno approfitti di un whisky di più per non soppesare tutti i pro e soprattutto i contro e si fermi a scegliere un mazzo di fiori di cui non conosce il nome, allora questo è l’indirizzo, vai lì, non troppo presto, però non oltre questo orario perché altrimenti non la trovi, ce l’hai un bigliettino con una busta, questo è l’indirizzo, no non firmo, va bene così, è bello pensare che il mattino dopo da qualche parte qualcuno apra la porta di casa o si senta chiamare dalla collega della segreteria, questo è per lei, e non importa se si metterà a ridere o si scioglierà di struggimento o sbatterà quella dozzina di fiori direttamente nella pattumiera o cercherà di sfuggire allo sguardo ironico di una coinquilina o di un intero ufficio – è il pensiero quello che conta, dicono.

    24/06/2014

    But I like it (quattro amici al bar)

    Filed under: — JE6 @ 12:12

    Sarà che poi uno vuole vedere le cose che alle quali gli piacerebbe credere, non so. Ma so che l’altra sera al Circo Massimo sul palco non c’erano soltanto quattro (e in alcuni casi cinque) che non hanno mai smesso di suonare rock ma sono il rock, e quindi tutti gli altri – tranne pochissimi eletti – non possono essere che imitazioni, non c’erano soltanto quattro che ormai sono oltre le generazioni, le mode, sono Beethoven e Sinatra, sono Pelè e Di Stefano, sono Michelangelo e Rembrandt, non c’erano soltanto quattro (e in alcuni casi cinque) più vecchi di tutti quelli che li ascoltavano e al tempo stesso più giovani, non c’erano solo quelli, c’erano quattro che ormai non devono dimostrare più nulla, non devono guadagnare un solo dollaro in più, non devono avere una breaking news in più e allora possono fare quello che gli piace fare – e farlo con quelli con cui stai da sessant’anni, e lo sappiamo tutti che non si sta insieme così tanto solo per interesse, ci riesci solo se, in qualche modo indefinibile eppure evidente, ti vuoi bene. Ecco, sarà che poi uno vuole vedere le cose che alle quali gli piacerebbe credere, io l’altra sera vedevo quattro vecchi amici, di quelli bisbetici, paranoici come tutti quelli che vivono insieme da una vita, pieni di ricordi e tradimenti e litigi, e pieni dell’affetto che solo i maschi sanno avere gli uni per gli altri.

    17/06/2014

    Distillato

    Filed under: — JE6 @ 17:15

    Dura un istante, un nulla; ci sono cento, mille persone, bicchieri di birra, programmi per la sera, qualcuno per la notte, appuntamenti di lavoro, pettegolezzi, sudore, caviglie gonfie. Pare impossibile, ma per pochi secondi si crea un piccolissimo vuoto, due metri quadri liberi senza spiegazione. Si avvicinano, un sorriso, ciao come stai. Quell’avvicinamento dura un istante più di quanto ci si aspetterebbe anche se nessuno potrebbe notarlo nemmeno guardando con attenzione, chissà se si dicono qualcosa in quell’istante, forse sì, forse almeno uno dei due prova a distillare tutto il possibile in tre velocissime parole, in un pensiero, forse lo fa ma di sicuro non ci riesce perché in un secondo non puoi concentrare tutto, le mille piccole cose necessarie, quelle che stanno tra il suono della sveglia e il crollo sul cuscino, quelle che arrivano un mercoledì pomeriggio, quelle che sembrano senza importanza, quelle che fanno l’impalcatura di cui tutti hanno bisogno se non vogliono essere Emma Bovary. Dura un istante, un nulla: poi si salutano, ciao, ciao – madonna, quanta gente.

    12/06/2014

    O forse sono solo i troppi cocktail

    Filed under: — JE6 @ 11:45

    Per ore è tutto un sorriso, tutta una stretta di mano, un abbraccio un bacio, un ciaocomestaiquantotempotuttobene, per ore è tutto un ma adesso dove lavori anche se è tutto scritto sui badge che si portano al collo come cani lasciati in libertà al parco. Per ore è tutto un passaggio da un bicchiere di champagne a un mojito, da un piatto di pasta fredda a un dolcetto ma piccolo per carità che sono a dieta. Ci vuole poco, poi: basta fare due passi indietro e guardare la scena dall’esterno, o passare attraverso i capannelli che coprono il prato come macchie di leopardo e ascoltare qui e là. Ci vuole poco per capire gli amici e gli ex amici, quelli che tutto bene per davvero e quelli che sì sì, come se non sapessi che non state facendo il budget ne riparliamo alla fine dell’anno, quelli che hai visto con chi sta parlando, quelli che cercano un nuovo lavoro, quelli che ma perché cazzo sono qui, ci vuole poco a vedere i cento ruscelletti della concorrenza, i dieci dell’odio e del rancore, i due dell’amicizia in queste serate che mettono insieme quelli che lavorano in un certo settore, ci vuole poco a sentirsi come l’abitante di uno di quei paesini dove ci si sposa tra cugini per generazioni e generazioni, dev’essere per quello che abbiamo queste facce un po’ così, o forse sono solo i troppi cocktail, chissà.

    05/06/2014

    Il Canal Grande, quello vero

    Filed under: — JE6 @ 16:34

    Sono fermo al semaforo, tenendo il mare alle spalle. Aspetto che il verde ci permetta di attraversare la strada; là sulla destra il Caffè Tommaseo, quello che stai seduto in mezzo alle arie d’opera, a sinistra uno dei cento palazzi delle Generali. E’ in quel momento che mi sembra di capire Trieste, è in quel preciso momento in cui l’inquadratura mette insieme il Canal Grande e la chiesa greca e la chiesa cattolica e la chiesa serba e la sinagoga e le barche e gli spritz e le colline, e mentre guardo ascolto due donne che come me aspettano di attraversare la strada, parlano in una lingua slava addolcita buttando dentro ogni quattro o cinque frasi una manciata di parole in triestino, triestino vero anche nell’accento, è in quel momento lì, che ha dentro qualche millennio di storia e un numero imprecisato di guerre e morti e liberazioni e bottiglie di vino e libri e nobili e psichiatri e fortune dissipate e popi e babe, è in quel momento che il Canal Grande diventa quello vero, quello che taglia il Borgo Teresiano, quello che stai lì, appoggiato alla ringhiera sul ponte, e non vorresti muoverti più.

    [Che poi tout se tient, e quando riparto penso che solo a Trieste puoi dormire in un posto come la casa della Titti e della Gio, che è Trieste ma è New York e Tokio e Madras, tutto insieme, con due storie che ci vogliono troppi spritz per raccontarle – il che è un buon motivo per tornare]

    02/06/2014

    Con un braccio da airone

    Filed under: — JE6 @ 09:28

    C’è questa scena, uno dei due uomini ha appena rimesso i piedi a terra dopo aver infilato il pallone nel canestro. Un tiro da tre punti, uno dei mille che ha tirato nella sua carriera. Sono gli ultimi secondi della partita, una partita tirata, che la squadra dei due uomini gioca contro una squadra più giovane, fatta di grandi talenti e muscoli più forti e freschi. Eppure sono lì, punto a punto. Si avvicina il secondo uomo, che è più alto del primo di una ventina di centimetri e ha due braccia da airone e due mani da geisha, si avvicina al primo e gli avvolge un braccio intorno al collo come fanno i ragazzini quando vogliono molestare un compagno di classe, gli avvolge il braccio intorno al collo e lo tira a sé, gli appoggia la guancia sulla testa e stringe al petto il volto dell’uomo che ha appena segnato l’ennesimo canestro da tre punti. C’è questa scena, è il fermo immagine di una vita passata insieme, centinaia e centinaia di partite, migliaia di ore di allenamenti, milioni di chilometri di viaggio, distorsioni, coppe, passaggi fatti senza guardarsi, cadute, salti, palleggi, sconfitte, tutto insieme, rinunciando sempre a un pezzo di sé a favore dell’altro perché è solo così che tieni in piedi una squadra. Nel momento in cui ho visto quell’immagine mi sono venuti in mente un paio di colleghi, quelli che viaggi e budget e riunioni e facciamoci venire un’idea e riproviamoci ancora, quelli che in fondo non sai se chiamare amici ma sono una parte di te, sui quali hai sempre potuto contare, per i quali hai fatto sacrifici senza considerarli tali, e ho pensato che ognuno dovrebbe avere in regalo un collega così, un compagno così, uno da abbracciare e ringraziare senza provare una sola stilla di invidia, ognuno dovrebbe almeno una volta nella vita essere Tim Duncan per allungare un braccio da airone e stringere al petto Manu Ginobili.