Ufficio reclami
Ho passato otto giorni sui treni e pullman di sei paesi diversi, quattromila chilometri, settantaquattro ore di viaggio sale di attesa escluse. Sono passato in mezzo a tre religioni e una manciata di lingue diverse, forse uno di questi giorni cerco di trovare il tempo e la voglia di scrivere com’è un InterRail a cinquant’anni (faticoso, diciamo). Naturalmente, essendo tornato a casa da meno di due giorni, ho ancora parecchia roba negli occhi. Tra le cose che mi tornano più spesso in mente ci sono due episodi tra loro collegati; nel secondo giorno di viaggio a un certo punto il treno si ferma nel mezzo della campagna croata. Fermo proprio. Nessun avviso, nessuna informazione, solo dopo una mezz’ora un’affannata controllora passa per i vagoni a dire qualcosa che immagino sia “abbiamo un guasto, stiamo cercando di mettere le cose a posto in fretta”. Durante l’ora abbondante in cui rimaniamo a guardare l’erba affaticata della campagna in inverno non c’è una sola protesta, in un vagone con una trentina di persone a bordo. Apro la porta, guardo fuori, vedo un paio di dozzine di passeggeri che si sgranchiscono le gambe passeggiando a fianco dei binari, fumando una sigaretta. Ancora niente, un urlo, un insulto, uno sbuffo, un vaffanculo. Poi si sente un colpo secco, è arrivata una nuova motrice, ci rispingono verso la stazione più vicina e da lì, probabilmente sbrigata qualche scartoffia, ripartiamo verso Belgrado. Mugugni: zero. Sei giorni dopo salgo su un regionale veloce a Trieste. Il treno parte con otto minuti di ritardo (ne recupererà tre arrivando a Mestre) e sono otto minuti interi di è una vergogna, stanno cercando il macchinista, pago sessanta euro al mese per questo schifo, la gente ha degli impegni; quando il treno si muove non si sente un sospiro di sollievo, ma una specie di sbuffo di delusione.
(Non ho morali da trarre, non so nulla del rapporto dei croati con le loro linee ferroviarie, non so quale sia lo standard dei ritardi nella Venezia Giulia italiana, l’erba del vicino non è sempre più verde eccetera. Però è difficile girare in Italia di questi tempi e non avvertire un astio costante contro tutto e tutti che gorgoglia come una solfatara)