Come se fosse cosa viva
E’ in quel momento lì, quando mi inginocchio seguendo il gesto della mano lunga e bianca che me li sta indicando, è nel momento in cui all’altezza degli occhi trovo i dorsi di un’edizione antichissima dell’Encyclopedie, proprio quella, è in quel momento lì che mi ritrovo, dopo alcuni secondi di qualcosa che non saprei definire bene – emozione, smarrimento – a provare la sensazione di guardare uno dei molti e al tempo stesso pochissimi punti dai quali vengo, come se avessi di fronte non un libro ma una persona, la madre della madre della madre della madre di mia madre appoggiata qui, in questa magnifica scatola di legno intarsiata che contiene la storia del mondo, una biblioteca piena di libri stampati alla fine del Quattrocento che pare siano usciti adesso dalla macchina da stampa tanto sono nitidi, di tomi del Cinquecento nei quali l’America del Nord era chiamata Terra Ignota, di trattati scientifici del Seicento accuratissimi e aggraziati come dipinti di Michelangelo, un luogo curato come un figlio – quella mano lunga e bianca appartiene a un uomo alto con la barba bianca e lunga, un monaco in jeans e mocassini che conosce questi libri e le loro storie e le storie di chi li ha scritti e di chi li ha stampati, li conosce con una profondità e un amore non ostentati, li cura con l’attenzione che si dedica solo alle cose (alle persone) che si amano. Io sto lì, noi stiamo lì a guardare e ascoltare e fare domande come i nipoti con i nonni anche se abbiamo la stessa età dell’uomo che ci parla, vorremmo dirgli di non fermarsi, di aprirci un altro scrigno, e quando usciamo gli stringiamo la mano lunga e bianca e gli diciamo grazie e quando ci ritroviamo fuori nell’aria fredda della montagna di ottobre ci guardiamo in faccia e per un po’ non sappiamo cosa dirci.