Dicevo, le cose migliori in una città sono spesso un po’ laterali, defilate, in ombra. Percorriamo l’Hospital, passando tra macellerie islamiche, alberghi a mezza stella e bazar cinesi, e sbuchiamo nella Rambla del Raval, dove non si trovano cervezerie e saltimbanchi, ma matrone, bambini, studenti stranieri e quella razza di dropout scazzato e malinconico che capita di incontrare nelle città di mare.
Ci fermiamo davanti all’ingresso dell’Atlanta F.C., la squadra di calcio del quartiere. Il luogo dove vorremmo invecchiare, sul serio. Dentro ci sono tre donne, in vestaglia e ciabatte, di età certamente non inferiore ai settantacinque anni, che giocano ad una specie di gioco dell’oca di bellezza indescrivibile, disegnato su una tavola di alabastro o comunque di pietra dura e lucida.
I due tavoli a fianco sono occupati dai giocatori di domino e da coloro che assistono alla partita, e ognuno di essi è un personaggio che meriterebbe un racconto di Soriano: il professore, con gli occhiali e la barba ben curata; il marinaio, con la faccia scavata e la maglietta a righe bianche e blu; il ras, che riesce a parlare e fumare senza mai perdere il controllo dello stuzzicadenti incollato all’angolo destro della bocca; il matto, che tiene stretto al petto un cane più vecchio di lui e dondola la testa senza scuotere uno solo dei capelli riportati da un orecchio all’altro.
C’è un solitario, sui sessant’anni, con l’orecchino, le ciabatte da casa e una camicia fucsia, che legge un libriccino, forse di poesie.
Ci fermiamo affascinati a guardare le fotografie delle squadre dell’Atlanta F.C., scattate su campi polverosi, per la maggior parte in epoche preistoriche; andiamo al banco a ordinare bocadillo y cerveza, che ci vengono portati dalla sorella delle giocatrici dell’oca, la quale ci regala un sorriso sdentato da nonna di Pupi Avati. I bocadillos sono caldi e la birra è fredda, ed è la cena più buona da tanto tempo a questa parte (quanto abbiamo pagato? sette euro in due), e scattiamo anche un paio di foto e nessuno fa una piega, e quando usciamo la signora al banco ci chiede se ci è piaciuto quello che abbiamo mangiato, e ancora adesso mi pento di non essere andato lì ad abbracciarla, invece che essermi limitato a risponderle “sì, moltissimo”.