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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    30/09/2009

    Greetings from Paris ’09 – La giostra

    Filed under: — JE6 @ 19:20

    Mi fermo davanti a Gare Montparnasse per aspettare un amico. C’è tanta gente, il rumore del traffico e delle persone, il sottofondo acustico urbano a cui facciamo caso solo quando non lo sentiamo più. Sono tentato di comprarmi una crepe, per ingannare l’attesa, ma mentre sto per decidermi vengo distratto da un movimento nuovo. La giostra, quella che sta alle spalle del camioncino che vende dolci e bevande e anche lo zucchero filato. Mi rendo conto che era rimasta ferma fino a quel momento, e in effetti la piazza davanti alla stazione non sembra il posto ideale per portare un bambino a divertirsi; mi sposto di un paio di passi, guardo meglio e li vedo: avranno una trentina d’anni entrambi, tutti e due alti ma lui un po’ di più, vestiti da ufficio, giacca e cravatta lui, una specie di tailleur con il pantalone lei; sono saliti ciascuno su un cavallo, uno al fianco dell’altra, e si allungano l’uno verso l’altra, e si baciano assecondando il movimento dell’animale della giostra, quello di lui sale e lei allunga il collo mentre lui si abbassa, quello di lei sale e per un momento le due teste si ritrovano alla stessa altezza e poi subito una schizza verso l’alto e l’altra la insegue. Non sembrano due bambini, perché due bambini non farebbero questa cosa da film con Meg Ryan, sembrano solo due adulti che se ne fregano di tutto ciò che gli sta intorno, delle mille o diecimila persone che affollano la piazza, due adulti che si baciano e ridono come scemi, e vai a sapere chi è più scemo tra loro due, il sottoscritto che li guarda, e tutti gli altri che corrono e fumano sigarette.

    Greetings from Paris ’09 – Baschi, anfibi, mimetiche

    Filed under: — JE6 @ 19:19

    Passano camminando lenti e sicuri, con la mimetica attillata, le maniche rimboccate, gli anfibi lucidi, il basco piccolo dei militari di professione, il mitra imbracciato con la canna a quarantacinque gradi. Dal 2001 sono una presenza costante, almeno nei miei ricordi di viaggiatore che viene a Parigi una o due volte all’anno, e forse lo sono davvero perché la folla di Montparnasse non li degna di un’occhiata, loro sfilano con la faccia di marmo, la gente entra ed esce dalla stazione, gli ultimi clienti lasciano le bancarelle tutto-a-un-euro; solo un ubriaco gli grida qualcosa, ma le parole vanno via in fretta, come loro.

    25/09/2009

    Fuori quota

    Filed under: — JE6 @ 12:08

    A me va benissimo, sul serio, che un TAR sciolga una giunta perché non rispetta le quote rosa autoimposte dalla stessa amministrazione provinciale: siccome credo poco ai cambiamenti “dal basso”, è bene che questi arrivino “dall’alto”. Però, allora, possiamo darci una tregua con il refrain della meritocrazia?
    Repubblica.it

    24/09/2009

    Gruesse aus Koeln – Il fiume

    Filed under: — JE6 @ 00:47

    Ogni tanto mi viene in mente quel vecchio pezzo di Cochi e Renato, a Milano c’era il mare, arrivava fino in via Spadari. Ogni tanto mi viene in mente che anche noi avevamo i nostri fiumi, e siamo stati così scaltri da coprirli. Ci penso anche questa sera mentre cammino costeggiando il Reno – non che i Navigli e questo bestione lungo e largo abbiano molto in comune, ma l’idea che abbiamo rinunciato consapevolmente all’acqua, alle chiatte, alla lentezza di un movimento che finisce per essere più veloce, utile ed economico di quello di un milione di macchine inchiavardate in via Fatebenefratelli, ecco, quest’idea mi deprime, e parecchio. Mi siedo su un muretto, guardo i due grandi ponti, le Schnellbahn che collegano le due metà della città, i grandi battelli attraccati a sponda, tengo alle spalle le luci dei locali, dei ristoranti, degli alberghi che illuminano l’area dedicata a pedoni e ciclisti; sembra un po’ una scena di “Manhattan”, con la sola ma non irrilevante differenza che Allen raccontava la sua città, e io no.

    Gruesse aus Koeln – Il prima e il dopo

    Filed under: — JE6 @ 00:31

    Uscito dal Duomo imbocco la Hohe Strasse, la Main Street di Colonia. Una lunga teoria di luci e negozi, una specie di Corso Buenos Aires fatto di tutti i marchi di medio livello che compongono l’arredo urbano di quasi ogni città occidentale. Sono quasi le otto e mezza, e c’è ancora un sacco di gente in giro: saranno i venti gradi di questa coda di estate, sarà che alla gente di qui, come mi diceva il ragazzo berlinese sulla Schnellbahn che ci portava dall’aeroporto alla fiera, piace divertirsi; penso alle mie ultime visite in Germania, Norimberga, Wiesbaden, Friburgo, Augsburg e non ricordo una movida serale così intensa – la band dei Radical Dancers che suona i suoi tamburi davanti all’ingresso di C&A, la classe di liceali che sciama gridando. Mi fermo a mangiare, il tempo di imparare grazie a un’amica berlinese che qui la birra (la Koelsch) viene rigorosamente servita nello Stange, un bicchiere alto e stretto che tiene soltanto due decilitri, nulla a che vedere con i boccali enormi dell’Oktoberfest, ritorno in strada. E la trovo vuota, meno di un’ora dopo, e non so perché ma mi sento a mio agio, come se questa fosse la Germania che conosco, come se questa fosse davvero la Germania nella quale verrei a vivere anche domani.

    Gruesse aus Koeln – Profumo

    Filed under: — JE6 @ 00:18

    L’ultimo odore che si sente prima di entrare nel Duomo di Colonia arriva da un McDonald’s; è l’odore che abbiamo imparato a conoscere, indefinito eppure inconfondibile, un segno della modernità. Il primo profumo che si sente entrando nel Duomo di Colonia è quello dell’incenso. Anche quello inconfondibile, ma non indefinito: anzi, preciso. Non è pungente come spesso capita: forse perché si attenua salendo verso l’altissimo soffitto, e infatti basta alzare la testa per vedere l’atmosfera lattiginosa di una sera di Gottesdienst, di cerimonia. La chiamano Domwallfahrt, dura quattro giorni, quella di stasera è la messa iniziale. E’ come se avessi già visto tutto, questa chiesa enorme e magnifica ricorda il Duomo di Milano, ricorda Notre Dame, a me ricorda soprattutto la York Minster, con i religiosi nelle loro tonache rosse bordate di nero, l’organo che fa tremare le panche di legno, le voci che riempiono l’aria, l’atmosfera da Medioevo moderno. C’è una sola cosa veramente diversa, e fa tutta la differenza del mondo: è la lingua, quel tedesco di cui capisco una parola ogni cinquanta, ma che qui non sembra duro e cattivo come siamo abituati a pensarlo, non sembra fatto di latrati e odio, bensì di qualcosa di serio ma non noioso, sembra quello che probabilmente è – una lingua ricca e magnifica. Al termine della messa dall’altare parte una processione interminabile, fatta di ogni genere di prelati e di un numero strabiliante di chierichetti che avranno al massimo undici anni, e le prime sono due bambine da spot pubblicitario, la biondina con le trecce e la nera con i ricci. Mi fermo a guardare tutto, fino alla fine; non so se mi godo uno spettacolo di altissima qualità o se mi godo qualche minuto di pace, se mi gusto la sicura ma non boriosa magnificenza del rito o la tranquilla serenità della fede altrui – della mia non parlo perché non ne sono sicuro, perché non so cosa dire, perché per una volta non voglio dire nulla. Mi dirigo verso l’uscita, incrocio un giovane sacerdote che sotto la tunica indossa un paio di finte Crocs marroni, mi fermo davanti a una pala lignea, esco. Il vento ha cambiato direzione, non si sente più l’odore di McDonald’s.

    22/09/2009

    Su gomma

    Filed under: — JE6 @ 13:10

    Ieri sera ho percorso il tragitto di ritorno dall’ufficio – per una volta, completamente urbano – in compagnia di una betoniera e due TIR (uno dei quali ha provato a sfracellarmi all’altezza dell’ospedale San Carlo, forse ritenendo che la prossimità del Pronto Soccorso sarebbe stata di qualche giovamento). Ah, dimenticavo un Hummer. Sai quando pensi al trasporto su rotaia, l’intermodalità, quelle cose stupide che fanno oltre confine.

    “Vi pare possibile?”

    Filed under: — JE6 @ 09:36

    “Vi pare possibile? Un segretario del congresso e uno delle primarie? Qui, al congresso, ci sono gli iscritti, i volontari, gli amministratori locali, quelli che lavorano alle feste, quelli che sostengono il partito tutti i giorni e se ne fanno carico anche economicamente, con la tessera. Voglio un partito fatto di queste persone e di tutte le altre che decideranno di iscriversi.”
    Elena, che ricorda a Piero Fassino cos’è il buon senso.
    Senza aggettivi

    21/09/2009

    DJ Adri

    Filed under: — JE6 @ 14:44

    Io me la vedo questa scena di Galliani che si mette in testa la cuffia da DJ e fa partire “la musichetta della Champions” e i bolsi plurimilionari a strisce rosse e nere diventano undici dieghiarmandimaradona, un po’ come i Galli di Asterix quando tracannano la bevanda magica del druido, me la vedo sì (mioddio, a cosa porta l’aver perso completamente ogni senso del ridicolo).
    Repubblica.it

    Con gli occhi aperti

    Filed under: — JE6 @ 13:36

    Il momento peggiore è la sera, quando provo ad addormentarmi. Il buio interrotto dalle luci di emergenza, i lamenti di quelli che come me non arrivano a sera abbastanza stanchi e non si possono girare nel letto perché i tubi glielo impediscono. Allora sto lì, con gli occhi aperti ad ascoltare il respiro pesante del mio compagno di stanza, sperando che il suo russare leggero e continuo mi intontisca come se stessi contando le pecore o guardando il Gran Premio alla tv. Sto lì, con gli occhi aperti, e penso, perché non ho altro da fare. Penso all’operazione, mi chiedo se andrà bene e come ne verrò fuori, se abbastanza simile a com’ero due o tre anni fa oppure storpio per il resto della vita – se così si potrà chiamare. Penso che magari mio figlio si vergognerà di me e farà di tutto per nascondermi ai suoi compagni e alle sue fidanzate, magari mia moglie si stuferà di accudirmi, magari i miei amici non avranno più tempo e voglia di venire a trovarmi. Penso che potrò uscire da qui solo se qualche disgraziato ci lascerà la pelle, magari tornando ubriaco da una notte passata a sbronzarsi con i colleghi, o cadendo da un’impalcatura di un cantiere. Quando guardo il telegiornale mi dico che là fuori ci sono i problemi veri, pensa a tutti quelli che non hanno una casa per il terremoto, pensa a quelli che hanno perso il lavoro, pensa a questi e pensa a quegli altri; ma dura poco, dopo qualche minuto mi ritrovo a pensare a quando quel qualcuno cadrà dall’impalcatura e mi tirerà fuori da qui, e mi vergogno, e anche se è mille volte stupido mi sento in colpa per essere malato perché è vero che non l’ho voluto io, ma sto rovinando la vita a quelli ai quali voglio bene, gli ultimi ai quali vorrei farlo. E’ una cosa che tengo per me, se lo dicessi a qualcuno subito verrei rimproverato, “ma che cazzo dici, ma di quali sensi di colpa straparli, tu e il tuo cristianesimo del cazzo” ma io non so cosa farci, e allora sto zitto, e resto lì con gli occhi aperti a guardare nel buio, ad ascoltare quelli che come me non riescono a dormire, aspettando la morte per poter vivere di nuovo.