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30/06/2008
Mia madre ha appena proposto di organizzare un happy hour.
Forse quello dell politico o dell’amministratore pubblico va davvero considerato come un mestiere – una cosa che impari a fare e magari fai per tutta la vita, e come io posso fare il mio lavoro in questa azienda come in cento altre uno può fare l’assessore a Milano oggi e il sindaco a Salemi domani e così via, Lombardia e Sicilia e Friuli e Marche. Io non ho nulla in contrario, anzi. Mi chiedo solo quante volte i bravi cittadini della provincia di Trapani avranno l’onore di vedere il loro primo cittadino all’opera, ma contenti loro contenti tutti.
Corriere.it
29/06/2008
Questa mattina, mentre mi dedicavo ad una delle mie attività preferite (guidare in autostrada: ognuno ha le sue manie, lo so) ho deciso di mettere su Breakfast in America, che oltre ad essere uno dei dieci dischi che vorrei salvare dalla fine del mondo mi pareva anche una buona scelta per una tranquilla domenica di estate. Però, non so: evidentemente non ero dell’umore giusto (in realtà lo so benissimo: non lo ero), e così, benchè quel disco abbia significato anche per me “un’estate (…) fiduciosa nel futuro, leggera, ingenua, piena di energia e di buone intenzioni e di sole“, con il passare delle canzoni mi rendevo conto – direi per la prima volta in modo sufficientemente nitido – che in fondo quel disco esprime tutt’altro, è pieno di racconti di sconfitte, di abbandoni, di conversazioni noiose, e la musica non ha nulla o quasi di “positivamente americano”, ma è in fondo intimamente inglese (“hanging on in quiet desperation is the English way”) come quattro dei cinque membri della band, e forse è per questo che per uno “crepuscolare” (cit.) come il sottoscritto questo continua ad essere “uno dei più gran dischi pop-rock di sempre”.
Wikipedia, Attentialcane, Wittgenstein
La donna spense la sigaretta calpestandola con il piede. Guardò l’orologio. Stava aspettando da quasi un’ora, ormai. Non era la prima volta che le capitava; da quando si erano messi insieme qualche mese prima questa era forse la quarta o la quinta città dove decidevano di passare un week-end; in ognuna di esse erano arrivati felicemente dimentichi di tutto, avevano lasciato i bagagli nella camera dell’albergo, erano andati a cena, avevano passeggiato tenendosi per mano, erano rientrati in camera, avevano fatto l’amore, si erano addormentati, si erano svegliati, avevano fatto colazione, erano usciti nuovamente, avevano scattato fotografie, avevano comprato souvenir. In ognuna di esse si erano comportati esattamente come milioni di altri turisti come loro. In ognuna di esse, però, lui aveva disegnato il loro percorso in modo da poter visitare un cimitero. Di solito non era un camposanto qualunque: era piuttosto uno di quei cimiteri monumentali, una specie di museo fatto di lapidi, statue, fiori, incisioni. La prima volta lei lo aveva seguito incuriosita, in fondo non trovava grande differenza tra percorrere i corridoi di una pinacoteca e camminare in mezzo ai vialetti che separavano tra loro le tombe. Ma aveva notato che lui si era incupito quasi di colpo, subito dopo aver oltrepassato i cancelli del cimitero. Lei sapeva che non c’era alcuna ragione perché questo succedesse, si trovavano all’estero e lui non poteva certo avere parenti o amici sepolti in un luogo lontano un migliaio di chilometri da casa, dove la tomba più recente era vecchia di almeno un secolo. Non gli fece domande, ma la volta successiva decise di non accompagnarlo, dandogli appuntamento dopo un’ora o due in un qualsiasi bar di una qualsiasi piazza della città nella quale si trovavano. Mentre estraeva un’altra sigaretta dal pacchetto ormai quasi vuoto, lo vide avvicinarsi, lasciandosi il cimitero alle spalle, e non seppe trattenersi dal fare una smorfia che significava semplicemente “Mi vuoi spiegare, per piacere?”. Lui le passò a fianco ma non si fermò, così che lei dovette prima scuotersi dalla sorpresa e poi allungare il passo per raggiungerlo; e quando l’ebbe fatto, lui, senza guardarla, spinse a fondo le mani dentro le grandi tasche dei pantaloni sportivi, e mormorò “Ci sono tante cose che non posso dire; là dentro, per fortuna, nessuno se lo aspetta che io parli”.
28/06/2008
Qui si pensa che il feed dovrebbe essere a posto. Dovrebbe, eh.
A voler usare come strumento demoscopico il sondaggino sulle frequentazioni discotecare dei lettori di questo blog, si viene a scoprire che essi sono per due terzi maschi, hanno un’età media di 37 anni, 4 mesi e 2 settimane (tutti, femminucce incluse) e mancano da una discoteca da 8 anni e 2 mesi. Adesso mando una mail all’Istat e gli chiedo se i dati gli interessano.
27/06/2008
Pare che ci siano problemi con il feed di questo blog di periferia – stiamo (stanno) lavorando per voi. Feedatevi.
A proposito di Gialappa’s Band: questa mattina mi è passato davanti agli occhi l’ultimo spot della saga Sanpaolo, e mi sono chiesto se prendere per il culo i propri clienti facendoli passare per degli emeriti imbecilli sia un’idea tanto brillante.
L’hanno già detto in tanti, che durante questi Europei di calcio i telecronisti della RAI e le loro spalle tecniche hanno dato il peggio di sè. Non lo ripeterò, data l’evidenza della cosa. Ma onestamente, a me pare che anche sulle altre reti non se la passino tanto meglio quando c’è da raccontare una partita di calcio. Con pochissime eccezioni (mi vengono in mente giusto Caressa e Marianella, e nemmeno sempre), il profluvio di luoghi comuni, di mere descrizioni di ciò che le immagini già raccontano con la massima precisione possibile, di mezzi urli Brazil-style, di svarioni grammaticali è impressionante, nonchè molto equamente suddiviso tra emittente pubblica e concorrenti privati di ogni ordine e grado (Mediaset, Sky, Sportitalia, etc.).
La cosa interessante, almeno agli occhi del sottoscritto, è che la qualità delle telecronache sportive sembra essere decisamente più alta quando ci si sposta dal calcio agli altri sport: con l’eccezione delle Olimpiadi, chè in quel caso ci sono tali e tanti eventi – moltissimi dei quali effettivamente di nicchia – che è naturalmente impossibile trovare telecronisti esperti e capaci per ogni disciplina); per dire, Franco Bragagna per l’atletica leggera, Maurizio Cavalli per lo snooker, il sestetto delle meraviglie per il tennis di Sky (Clerici-Tommasi -che Dio li mantenga fino ai 120 anni -, Pero-Lombardi, Marianella-Bertolucci) giusto per fare qualche esempio. Naturalmente, ci sono eccezioni che confermano le regole: vedi l’esagitato Guido Meda per il motomondiale (salvato da Loris Reggiani: il giorno che daranno la telecronaca a lui e Marco Lucchinelli Italia 1 farà l’86% di share) o il soporifero Mazzoni per la Formula 1 sulla RAI. Ma a me sembrano eccezioni, e mi chiedo se, semplicemente, non sia il calcio ad essere incommentabile se non nel modo in cui chiunque, nel famoso Bar Sport, sarebbe capace di fare [1].
[1] Per pietà, non tirate fuori la solita solfa della Gialappa’s, che quella non è una tele- o radiocronaca, e che ormai sta raschiando il fondo del barile.
Questo giochino di darsi del Lei noi vecchi blogger della Scuola Milanese ce lo portiamo dietro da anni, piccolo segno – goliardico ma non troppo [1] – di appartenenza, nonchè manifestazione di autoironia un po’ cialtrona; e poi, in fondo, il blog è anche rappresentazione pubblica di un personaggio oltre che di una persona: e non vorrete che uno che si porta dietro l’appellativo di Sir [2] non cerchi di mantenersi sempre all’altezza del suo titolo, spero.
Detto questo, ammetto di provare un minimo di imbarazzo nel ricevere una mail (e, giuro: non è la prima) che ha come attacco “Buongiorno, mi presento: sono XXX, una affezionata lettrice del tuo blog! Ti chiedo scusa per il fatto di darti impunemente del tu…” – perchè sa, cara affezionata lettrice, non vorrei che lei si fosse fatta un’idea sbagliata del sottoscritto: stia serena e si metta pure sul riposo. E ora, dica pure.
[Mi viene in mente una telefonata di qualche mese fa, io in un gift shop di Vaduz e la persona all’altro capo del filo che cammina sotto la pioggia in quel di Genova – dieci minuti di equilibrismi per non usare nè il lei nè il tu nè il voi: “Buongiorno, come stiamo?”, “Bene, grazie, e cosa si dice lì all’estero”]
[1] Per altri molto stucchevole, lo so. Ma non si può piacere a tutti, eh.
[2] Peraltro, diversi mesi fa l’attraente bloggeuse che mi fece l’onore di chiedermi di farle da cavaliere per la GGD mi rivelò che il marito, appreso il mio nick, roteò sconsolato gli occhi dicendole qualcosa del tipo “Ah, esci con uno che ha come nome il suono di una padella” – e come dargli torto.
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