|
|
29/07/2011
La mano lascia il mouse mentre il pomeriggio sta finendo e lo schermo si ferma su un ultimo messaggio da completare e spedire. Per un momento nell’ufficio si fa silenzio, un po’ più silenzio del solito, come se tutti prendessero fiato. Qualcuno sente crescersi dentro quella specie di eccitazione delle vacanze in arrivo, del check-in in aeroporto, qualcuno prepara l’ultimo caffè della giornata, qualcuno prende il telefono, lo passa da una mano all’altra per un paio di volte e poi si decide a chiamare, come stai, bene e tu, bene grazie, allora sei in ferie, sì da mezz’ora, bene, e tu, ancora una settimana, dai manca poco, sì, poi c’è una lunga pausa, quattro o cinque secondi, piena degli undici mesi e mezzo dell’eterno anno scolastico in giacca e cravatta e camicetta e tacco otto, piena di talmente tante cose che nemmeno se le ricordano più, come quando cammini e cammini e cammini e arriva prima un momento nel quale sei così stanco che ti viene da piangere, e poi arriva un momento nel quale magicamente le gambe vanno leggere come il vento, e alla fine arrivi, ti fermi e prendi fiato e ti guardi e tutto ciò che vedi sono polvere e lividi e graffi. Sullo schermo si apre la finestra di una mail che arriva, tra un quarto d’ora chi c’è per un aperitivo, i colleghi mi aspettano, sì, allora ci sentiamo, certo, dai che ti manca poco, sì sì va bene me l’hai detto prima, cosa c’è, niente, ma come niente, niente, capito, davvero, stai bene, anche tu, ragazzi ricordatevi di mettere un po’ in ordine le scrivanie.
28/07/2011
Non so se capita anche a voi di esser lì al semaforo di via Colleoni mentre ascoltate la rassegna stampa ed è il turno di Libero e Giornale, di essere sciolti sul divano mentre sullo schermo passa la faccia di Borghezio, di aspettare un caffè al bar dell’Esselunga mentre altri due clienti parlando di quel pensionato che ha inseguito e ammazzato lo scooterista e dicono che per esser sicuro gli è pure passato sopra una seconda volta come se fosse un cartone animato, non so se capita anche a voi che va tutto insieme e vi sentite salire dallo stomaco la voglia di prendere la scorciatoia e dire sì cazzo, al rogo, al muro, bianco o nero altro che le mille tonalità del grigio, sputare il veleno ma non per liberarvene, giusto per tirarlo in faccia a qualcun altro, non so se capita anche a voi di sentire la fatica – persino fisica – di pensare e dire e provare a fare la cosa giusta e il bisogno di un’ubriacatura di tutto il peggio che sapete di avere dentro, quel peggio che ogni giorno cercate di tenere a bada. Non so se capita anche a voi, spero di sì.
25/07/2011
Tutti, più o meno, passano un periodo nel quale sono abbastanza stupidi da vedere un morto al telegiornale e scendere in cortile per dare il cinque all’amichetto (a me capitò con Bob Marley, dovevo ancora compiere quindici anni). Tutti, più o meno, attraversano un altro periodo nel quale il-mio-mito-è-più-mito-del-tuo, Van Basten e Ronaldo, Jagger e Lennon, Tiziano Ferro e Nek (quanto a questi due giuro, io non c’entro: ma il mondo è bello perché è vario, si sa). Quasi nessuno riesce a raggiungere il periodo del silenzio per miti altrui che muoiono, e dei quali non gli è mai fregato nulla.
22/07/2011
Quando metti le ruote sopra il ponte, in quell’istante e per quell’istante si ferma un po’ tutto – il mal di testa che ti martella fino a darti nausea, le notizie dalla radio, la telefonata dall’ufficio, la spia della riserva, le cose da fare, le cose non fatte -, rimane il cielo ancora pulito e il milione di riflessi del sole sull’acqua. Sei ancora troppo lontano per vedere quei due piccoli cannoni sulla sinistra, e lo scempio del distributore di benzina all’altro estremo del ponte, socchiudi gli occhi e là, in fondo, vedi Venezia.
20/07/2011
Ci sono state parecchie battute memorabili durante gli interrogatori ai protagonisti di questa straordinaria serie televisiva che è il phone hacking scandal – un’altra è stata “We were advised fundamentally to tell the truth”; per non parlare delle bibliche pause di silenzio che Rupert Murdoch si prendeva prima di rispondere a Tom Watson, roba che Craxi avrebbe fatto la figura dell’incontinente logorroico, pause che valevano quanto intere pagine di Sorkin – ma questo scambio tra Sir Paul Stephenson e uno degli MP che gli facevano domande non fa solo capire perché gli inglesi hanno avuto i Monty Python e noi i Gatti di Vicolo Miracoli, ma è proprio la quintessenza dell’essere inglesi, quel qualcosa che noi acculturati che ci guardiamo le serie in lingua originale vorremmo essere sapendo di non poterlo, e allora indossiamo le cuffie, waiting for the punch line, godendoci lo spettacolo.
19/07/2011
La crisi è quella cosa che ti fa chiedere la fiducia che tu non ti daresti mai.
15/07/2011
Ieri sera, mentre stavo a fissare un punto indefinito a metà strada tra la luna e la cima degli alberi che recintano le terme di Caracalla, ascoltavo Massimo Giannini intervistare Massimo D’Alema. Oggi, che sono ancor più stanco ma leggermente più lucido, ripensando a quelle domande realizzo che c’è un metodo molto valido per dare l’idea che una persona sia irrimediabilmente legata al passato al punto da essere il passato, ed è quello di continuare a provare a farlo parlare del passato stesso (nel caso specifico: la Bicamerale, la legge sul conflitto di interessi, il rapporto con Veltroni). Poi a volte capita che quella persona ti dia poca soddisfazione, ma intanto.
Piazza Indipendenza alle due di notte è un mare nero ovale che rilascia il caldo accumulato durante il giorno. Un barbone appoggia le labbra al tubo metallico della fontana. La luce di un lampione si riflette sul nuovo logo del supermercato. Due tassisti parlano, stando seduti sui cofani delle loro macchine. Sotto la grande scritta gialla del Corriere dello Sport un uomo passeggia aspettando qualcuno, arriva una macchina che sembra proprio quella, lui si avvicina al bordo del marciapiede, poi vede il colore, prende il telefono, fissa il display, lo rimette nella tasca, si passa una mano sul volto come se asciugasse delle lacrime. Un autobus attraversa la piazza lungo la corsia preferenziale, via Bachelet, via Palestro, via Villafranca, là in fondo Castro Pretorio. Per un minuto tutto si ferma e sembra il posto più solitario del mondo. Anzi, lo è.
14/07/2011
Viale dei Parioli alle sette di sera è una fila di alberi e un refolo d’aria che ti libera dal sudore appiccicoso della giornata. Un barista con la faccia dello zio Paulie dei Soprano tiene un piede su una ringhiera mentre Viale dei Parioli alle sette di sera è una fila di alberi e un refolo d’aria che ti libera dal sudore appiccicoso della giornata. Un barista con la faccia dello zio Paulie dei Soprano tiene un piede su una ringhiera mentre parla al telefono, aspettando i primi clienti della sera. Su una panchina cinque donne molto anziane siedono sedute strette l’una vicina all’altra. Una tiene in mano il volantino di un supermercato, arrotolato come un piccolo bastone di carta. I gestori delle bancarelle di libri usati stanno seduti e sembrano addormentati. Due amici arrivano e si siedono a un tavolino del Cafè Hungaria. Si danno il cinque. Un amico telefona, la prossima volta avvisami prima, l’ho fatto quando ho potuto, ma dove sei, davanti alla chiesa dei latinos, quella di piazza Buenos Aires, quella con il mosaico della bandiera argentina, ma sei a piedi, sei matto, no, si sta bene, quando vai in vacanza, manca poco.
Alle tre del pomeriggio Porta Pia è una lastra bianca che fa chiudere gli occhi. Due turisti camminano radenti al muro che fronteggia l’Ambasciata Britannica. Un soldato scosta il basco per asciugarsi il sudore della fronte e si mette in tasca uno smartphone bianco. Dal sottopasso verso Piazza Fiume sale odore di sacchi di juta sfibrati. Fa quel caldo che pensi solo a sopravvivere, respirare piano, cercare l’ombra, fare la strada più breve, sperare che non arrivino né telefonate né messaggi. Anzi, nemmeno pensi. Non pensi a contratti sfumati, riunioni interminabili, appuntamenti saltati, toccate e fuga. Non pensi a nulla. Là in fondo, al termine di quella piccola discesa, gli alberi, e il portone.
|
|
|