Gentilezza
Che esiste una cosa come la cruda, incontaminata, immotivata gentilezza.
Chissà chi aveva in mente David Foster Wallace quando scrisse questa frase (che sta dentro una mezza pagina di Infinite Jest che andò subito dritta tra le sue cose più belle e famose). Quando capita – incontrare quella forma di gentilezza e chi la incarna regalandola inconsapevolmente agli altri – è come vedere un diamante, o un arcobaleno: meraviglioso, e raro.
Ma c’è un’altra gentilezza, meno straordinaria, forse in qualche modo meno nobile, e non per questo meno preziosa nella vita di tutti, di ogni singolo e della società nel suo insieme. L’ho vista diverse volte, e certamente più spesso di quanto mi sarei aspettato, in questi giorni di ospedale e infermieri e operatori sanitari e medici e pazienti e familiari e amici.* E’ quella che si riceve perché ce la si merita, perché a propria volta la si è seminata anche per semplice buona educazione, sulla quale si è innestato poi un grazie in più, o detto col sorriso che le circostanze consentono, o un gesto cortese non richiesto, o un per favore sarebbe così gentile da. E’ una gentilezza che spesso non sgorga spontanea, alla quale si arriva dopo una frazione di secondo durante la quale si sceglie quella strada e non l’altra fatta di secchezza, pretesa anche legittima, espressione seria. E’ una gentilezza che costa più fatica e grazie alla quale si tiene insieme un pezzo di mondo: e che, se non si è ciechi e sordi, ritorna moltiplicata nelle forme più svariate che rendono la vita qualcosa non solo di più sopportabile, ma persino di bello.
* Va tutto bene, stiamo bene tutti e ora siamo tutti a casa.