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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    01/01/2019

    Cose

    Filed under: — JE6 @ 18:30

    Ho un sacco di cose in casa. Non da accumulatore seriale, ma ne ho tante. Come (quasi) tutti gli occidentali moderatamente benestanti. Cose, oggetti. Libri, soprammobili, divani, poster, fotografie, lampade, penne, giacche, borse, cd, telefoni. Cose, di ogni tipo. Piccole, grandi, nuove, vecchie, in buono stato, sbreccate. Mi piace averle: non per il possesso in sé, chissenefrega; ma perché quelle cose – non tutte, certo: non provo nulla di particolare nei confronti degli spazzolini da denti e del calzanetto – sono me. Le cose che siamo. Le cose che sono. Io non sono solo quelle cose, ma certamente sono anche quelle cose. E mi piace averle perché restano con me, e dicono quello che sono, e mi ricordano quello che ero: la memoria è un giocattolo che si rompe facilmente, più degli oggetti. La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda, e queste cose sono ricordi: e vita.

    08/05/2018

    Un pomeriggio al cinema

    Filed under: — JE6 @ 08:19

    Un giorno il buon Nando Dalla Chiesa, all’epoca nostro professore di sociologia, decise di farci vedere “L’albero degli zoccoli” nella versione originale, quella non doppiata, e di farci scrivere una specie di tesina al riguardo. Io ero tra quelli meno smarriti, perché quel dialetto – per quanto diverso dal milanese con il quale mi era toccato crescere – lo capivo: se non tutto, in buona parte, vuoi per vocabolario vuoi per contesto. Ma tutti coloro che venivano da sud del Po, ecco, le bestemmie di quel giorno sono indimenticabili. E’ che poi, alla fine, la gran parte di noi non sapeva bene cosa dire di quel film: figurati, l’aveva girato che c’era in giro Johnny Rotten e noi lo guardavamo mentre sparavano a Tarantelli, altro che civiltà contadina. E niente, finì che per non lasciare in bianco mi risolsi a scrivere non del film ma degli spettatori, di quel centinaio di non ancora ventenni messi di fronte a cascine e polenta e, appunto, zoccoli. “Bella idea” disse NDC. Forse dovrei riguardarlo, non so.

    09/03/2018

    Zia

    Filed under: — JE6 @ 10:23

    Abitava due piani sopra il nostro, aveva l’età di mio padre e perso una bambina che si chiamava col nome che molti anni dopo avrei dato a mia figlia. Ho passato non so più quante ore a casa sua, ascoltando il suo milanese rotondo e l’accento beneventano di suo marito. La chiamavo zia, come si fa con gli adulti che per i casi della vita diventano parte della esistenza di un bambino a dispetto dei legami di sangue; e come una zia mi seguiva, chiedeva notizie a mia mamma, si inorgogliva dei miei risultati scolastici. Non ha mai cambiato casa, così mi capitava di incontrarla, una volta adulto, quando andavo a trovare i miei, e mi sorrideva, e mi chiedeva con quel più di affetto e interesse che si ha per un pezzo di famiglia e per qualcuno che senza volerlo forse ti ricorda ciò che sarebbe potuto essere e non è stato: facevo giri di parole, mi sembrava strano e incongruo chiamarla ancora zia ma quello era e sarebbe sempre stata. E’ morta ieri, e poco prima ha chiesto di me e della mia famiglia a mia madre, che l’ha visitata tutti i giorni di questi ultimi mesi: stanno bene, stanno tutti bene, F è brava a scuola, ha detto mia madre, e lei ha sorriso e ha risposto orgogliosa “come suo papà, era bravo anche lui”. Dì una preghiera per lei, mi ha detto mamma ieri sera al telefono, ti ha voluto bene per tutta la vita, e io lo so, e spero che le sia lieve la terra.

    08/06/2017

    Le cose, passano?

    Filed under: — JE6 @ 16:55

    Un paio di giorni fa ho finito di leggere “L’ordine del tempo” di Carlo Rovelli. E’ un libro di fisica che parla, appunto, del tempo. Quello che noi consideriamo essere il tempo, quello che oggi la fisica sa essere il tempo. Aristotele, Newton, Einstein. La relatività, la teoria dei quanti. Per l’ennesima volta non ci ho capito molto, arrivo a un punto e lì mi perdo, mi cade la mandibola, mi viene la faccia a punto esclamativo – o a tre puntini, che è un po’ lo stesso. Però una cosa mi è sembrata di averla capita, e cioè che in realtà – una realtà che non vedo, che faccio persino fatica a immaginare – non c’è un tempo ma ce ne sono un’infinità, e non c’è un presente né un futuro o meglio: quello che sembra passato potrebbe essere futuro e viceversa, è tutto relativo, dipende da dove mi metto a osservare, il mio passato potrebbe essere il futuro di qualcun altro e viceversa. Così guardo tutte le carabattole che ho tirato fuori dalle scatole di cartone e che ho messo sulla nuova scrivania, una bottiglia da Cannes, una statuetta da Shanghai, una bambola da New Orleans, un bicchiere da Boston, una bandierina da Sofia, cose che mi porto dietro da viaggio a viaggio, da ufficio a ufficio così da poter raccontare una piccola storia per ciascuno e adesso penso che boh, magari non sto guardando pezzi di quando avevo cinque o dieci anni di meno, forse sono cose che devono ancora venire, vai a sapere.

    28/09/2016

    What’s next?

    Filed under: — JE6 @ 11:08

    E’ che si ha bisogno dei simboli, perché in realtà alla fine non c’è differenza tra ieri e oggi (e non ce ne sarà tra oggi e domani), come non ce n’è tra il 9 del martedì e lo 0 del mercoledì. Dura poco il fascino di quel simbolo, dura il tempo di capire che la gente che hai intorno nel vagone che ti porta in centro quell’aureola che ti senti addosso non la vede mica, che la macchina gira come al solito, le mail, le telefonate, le scadenze, i conti, e che in fondo è giusto così, va bene così. Poi stacchi per qualche minuto, quanto basta non per tornare indietro – ché per quello ci vorrebbe davvero troppo tempo – ma per chiederti e adesso che si fa? e risponderti cercando già qualcos’altro da fare, un obiettivo al quale ne seguirà un altro e un altro ancora così ti troverai senza accorgertene al prossimo 9 che diventerà 0, sperando di continuare a sentire quella vocina che ti dice con dignità ti prego, con dignità.

    27/04/2015

    Le cose e i ricordi

    Filed under: — JE6 @ 10:09

    Non avevo in programma di andarci, e infatti non ci sono andato per davvero. Nella manifestazione di Milano per il 25 aprile mi ci sono trovato dentro per caso, e ne ho approfittato per risalirmi tutto il corteo, dalla coda al capo, camminando mentre questo restava fermo in attesa dell’ordine di partenza. Non ho visto le violenze di cui ho letto, ma ho visto le bandiere dei sindacati con i cartelli “[nome fabbrica] non si tocca”, i furgoncini con gli striscioni “Antifascisti anticapitalisti”, le bandiere con le stelle di David e i cartelli “Sionismo=nazismo”, le bandiere siriane, quelle del PD, le falci, i martelli, tutta la rappresentazione familiare di un pezzo di società alla quale mi pare in qualche modo di appartenere anche se non saprei dire né come né perché né, soprattutto, se ci appartengo veramente. Ho visto moltissima gente della quale non starò a dire se sembrava felice perché il punto non è quello, quella che mi è parso di vedere era una grande folla fatta di tanti gruppi diversi, parecchi dei quali avrebbero gradito che altri gruppi non fossero lì ma mille miglia lontani: e certo, la gran parte di quei gruppi, la gran parte di quelle persone – anch’io, che stavo lì in fondo per caso – erano in strada grazie all’evento che si commemorava ma non più per commemorarlo. Che forse è il destino delle cose umane quando passa tanto tempo, la consunzione delle cose e quella dei ricordi e chissà cosa viene per prima, se quelli o quelle altre, come le uova e le galline, e chissà se tutto questo serve ancora fatto così, come lo stiamo facendo ancora adesso, senza avere idea di come farlo diversamente.

    31/03/2015

    (Brother) Where art thou

    Filed under: — JE6 @ 16:17

    Fa’ la cosa giusta, dice, come se io lo sapessi, come se io potessi saperlo cos’è la cosa giusta, come se non avessi il dubbio che la cosa giusta non sia altro che la cosa che vorrei, come se non temessi che la cosa che vorrei resti bella per i primi cinque minuti e poi puff, come se non pensassi, almeno ogni tanto, che le cose vanno come devono andare e le persone pure, come se non cercassi di non sentire l’ansia della clessidra, tutto il tempo che passa da una parte all’altra e tutto il tempo che sparisce fino a quando non ce n’è più, fa’ la cosa giusta, dice, ma a me basterebbe tornare un po’ indietro, un anno, cinque, non lo so, tornare a sentirti parlare, a sapere come stai e a non chiedermi se è la cosa giusta, perché è la sola cosa possibile.

    13/02/2015

    Prendi parti e non torni più

    Filed under: — JE6 @ 11:47

    Mi arriva una mail da uno dei cento contatti presi in Cina durante i mesi trascorsi a Shanghai due anni fa. Let the year begin, dice; e mi fa ricordare che questo è il periodo del capodanno cinese. Mi fa ricordare anche altre cose – ad esempio che la sera del primo giorno che arrivai era anche l’ultima di quelle due settimane che un miliardo e mezzo di persone si prende come pausa da (quasi) tutto e tutti e notai un silenzio del tutto inusuale in una via come West Nanjing Lu e sembrava tutto irreale se confrontato con le altre volte che ero stato in quella città; oppure le decine di storie di gente che partiva per passare le feste al paese natio e non tornava più, non un messaggio, una telefonata, niente – “chiudiamo l’azienda per le feste e ogni anno almeno il quindici per cento degli operai non si ripresenta alla riapertura” mi disse il direttore tecnico di un’azienda italiana scuotendo la testa e mormorando una cosa tipo “o tegnij o massaij”. Riguardo la mail prima di cestinarla, e prima vinco la solita fitta di nostalgia feroce e poi penso che c’è qualcosa di affascinante e di profondamente invidiabile in questa capacità di rendere vero quello che per noi è solo un vuoto modo di dire, anno nuovo vita nuova, prendi parti e non torni più, e il prossimo capodanno chissà.

    03/11/2014

    Le cose che siamo, Business Edition

    Filed under: — JE6 @ 12:16

    Uno pensa alle relazioni di lavoro, quelle tra aziende, come a cose che seguono logiche magari dure ma in qualche modo razionali: numeri, calendari, obiettivi, cose così. E invece le aziende sono come le persone, e non solo perché sono fatte dalle persone. I loro rapporti si creano sulle ali dell’entusiasmo come due sedicenni che si guardano sulle scale del liceo o della convenienza come in un matrimonio pianificato pensando alla dote dell’una e al posto di lavoro dell’altro, e poi si disfano per la consunzione delle cose, non importa quanto a lungo e quanto intensamente si sia lavorato o vissuto insieme, tra mail non risposte e progetti non completati – le ho telefonato e ha lasciato squillare, stavamo parlando delle vacanze, a questo punto ognuno andrà per conto suo -, oppure con le carte bollate, le richieste di danni, le interruzioni di servizio, le cause: i piatti che volano, insomma. C’è questo che mi affascina, di quanto siamo simili alle cose: che si sfarinano per il tempo e l’usura, che si rompono negli incidenti, fino al prossimo tentativo, un po’ di mastice, ti presento un amico, domani ti firmo l’offerta. Le cose che siamo.

    03/07/2014

    Greetings from Ljubljana 2014 – Prima della tempesta

    Filed under: — JE6 @ 22:41

    Sai quella cosa di prima della tempesta, la quiete, domani prevedono brutto anche se ci sarà il sole e allora ci vogliono quattro passi in riva al fiume, e lungo le vie acciottolate a guardare col naso all’insù questi strani ombrellini di carta che pendono insieme alle scarpe vecchie appese come ad Harlem, a bere una birra in mezzo ai ragazzi con gli zaini e alle donne dalle gambe lunghissime, ad ascoltare il trio blues che si mischia col quintetto gitano, a fissare il marmo splendente del municipio, a girare gli angoli di un posto che conosci quasi come casa tua, a fermarsi sul ponte, quello lì, quello da dove si vede la luce porpora. Te la ricordi Ljubljana, sì? Come se fosse venerdì sera, come se fosse estate.