Greetings from London 2011 – In between
Capita spesso: sali, sali fino a diecimila metri, e quando l’aereo si raddrizza vedi il sole, quello che chiudi gli occhi e te lo senti sulle guance, e sulla bocca, fino a quando scotta, e allora guardi la hostess che si avvicina per offrirti un bicchiere di Coca-Cola calda. Poi scendi, e ti si avvicinano le nuvole, le guardi arrivare, ne valuti la consistenza, la densità, c’è un momento preciso nel quale trattieni appena il respiro, è una frazione di secondo, è quando entri nella lana dei nembi e scompare la luce e pensi al pilota che ha davanti a sé solo latte e fuimo grigio. Dopo qualche minuto, mentre la sinusite e il cambio di pressione ti fanno scoppiare la testa, esci da quello strato di cecità, guardi fuori dal finestrino e rivedi la luce. Di solito puoi già vedere la terra là sotto, i bacini artificiali, i boschi, le autostrade, le ville a schiera, i puntini rossi in movimento dei fari delle macchine. Ma succede, alcune rare volte, che ti ritrovi in mezzo, che sotto di te vedi un altro strato di nuvole da attraversare, e la prima immagine che ti viene in mente è quella del prosciutto tra due fette di pane, ma senti anche un leggerissimo sibilo di desolazione, ti dici ma come, ancora, come se quel secondo tappeto fosse un’ingiustizia, una beffa, uno scherzo di cattivo gusto, come quando credi di aver finito un lavoro e ti arriva la telefonata mentre stai per spegnere il computer, come quando pensi di aver risolto un problema e invece scopri che non è così, non ancora, come quando sei sicuro di aver passato l’ultimo tornante e invece che il rifugio ti trovi di fronte un’altra rampa pietrosa. Poi l’aereo scende, scende ancora, attraversa anche quel banco, le ali vibrano un po’, e là, là in fondo, ancora lontana ma visibile, ecco la città.