Rispettabile
L’ultima volta che ci siamo visti è stata circa un anno e mezzo fa. Sono entrato nel suo ufficio, ci siamo stretti la mano, abbiamo scambiato quattro chiacchiere sul lavoro, i clienti che non pagano, la concorrenza, le vacanze ormai prossime. Poi siamo usciti per andare a mangiare, una trattoria della periferia bresciana nella quale ci siamo seduti per ultimi e dalla quale ce ne siamo andati sempre per ultimi, dopo che tutti gli avventori, nessuno escluso, sono usciti dal locale rallentando il passo in prossimità del nostro tavolo per guardare bene quella strana coppia, uno nel suo gessato estivo, l’altro in tailleur con pantalone, uno con le scarpe di cuoio di foggia inglese, l’altro con le ballerine numero 46, uno con la cravatta bordeaux, l’altro con un top rosa. Qualche anno prima saremmo passati inosservati, saremmo stati entrambi due rispettabili signori impegnati in un pranzo di lavoro, due come cento o mille altri. In quel momento, invece, eravamo i protagonisti di un numero da circo di terz’ordine, l’uomo che diventa donna, l’ultima vocale del nome che da “o” diventa “a”, il fenomeno da baraccone. Siamo rimasti al nostro posto fino al dolce e all’amaro, abbiamo continuato a parlare di lavoro, abbiamo pagato il conto, ci siamo alzati e salutati e augurati buone ferie – noi e la nostra rispettabilità, qualunque cosa questa fosse, qualunque cosa questa sia.