Ho un’amica che è convinta che l’unico “tempo di qualità” (lo chiama così) sia quello tra le sette di sera e una qualche ora della notte, quando si addormenta. Ho sempre pensato che fosse una sciocchezza, anche se poi non mi va più di tanto di frugare nelle insoddisfazioni altrui per trovare smentita alle mie convinzioni – e comunque, in fondo, tutto è relativo. Ma non è che sono un alieno, la sera piace anche a me, è un tempo più “mio” (quando non devo lavorare) quale che sia il modo in cui lo riempio – una puntata di Bones, quattro chiacchiere con mia moglie, una cena con amici, un giro in rete, un libro di Roth, un po’ di pensieri. Ogni tanto mi capita di pensare a quelli che stanno là fuori, quelli che riempiono i locali, quelli che mentre io saluto mia figlia stanno con il loro drink in mano oggi e domani e dopodomani, quelli che hanno la vita piena e il tempo di qualità, quelli che si divertono. A volte vorrei fare cambio con loro, o meglio essere con loro; più spesso però mi rendo conto che questa è solo una invidia superficiale, perchè in fondo le mie sere sono spesso fatte di piccole cose e sensazioni che non si possono spiegare: non c’è nulla da raccontare, la mattina dopo – davanti alla macchina del caffè – non ti bulli con i colleghi del mal di testa per l’essere andato a letto alle tre del mattino sfatto di alcool; quello che hai sta dentro di te, e non è poco, e non ha bisogno nè di parole nè di foto su Flickr o su Facebook. Non ha bisogno nemmeno di questo post.