Una giornata particolare
Credo che a stare tanto “in rete” si prendano alcune cattive abitudini. Ci si abitua, ad esempio, ad avere notizia di qualunque cosa in tempo reale, come si suol dire: e non parlo solo dei fatti che succedono alle persone che poi immediatamente le riversano su un qualsiasi social network – il fortissimo temporale in Liguria, la scossa di terremoto in Abruzzo, l’eliambulanza che volteggia su Mestre -, quelli insomma che fanno parlare di citizen journalism. A stare in rete ci si abitua anche alla comunicazione immediata di ciò che chiunque altro può avere sotto gli occhi, di ciò che in moltissimi hanno sotto gli occhi nello stesso identico momento, e che quindi difficilmente può essere definito come notizia: il gol di Inzaghi, la proclamazione di Miss Italia, cose così. Se siete su FriendFeed ci potete scommettere i dieci Euro che avete in tasca: alle 21.04 Diego insacca con un preciso destro dai sedici metri, alle 21.04.01 è una raffica di “Goooooooolllllllll!” in una poderosa sagra del già visto e del “ma non mi dire”.
Ieri nessuna – ripeto: nessuna – delle 113 persone delle quali mi arrivano automaticamente gli aggiornamenti sulla home page di FriendFeed ha dato “notizia” della morte dei militari italiani a Kabul, magari semplicemente rilanciando un flash di Repubblica.it, prima di un paio d’ore dall’avvenimento. Nel frattempo, durante la mattina si erano susseguiti thread da decine di interventi sulla depilazione femminile, su una job search di Wired, sulla necessità di un idraulico a Roma, come se nulla fosse successo. Mi è venuto da fare un po’ di ironia al riguardo e ho citato la teoria di un’amica, la quale sostiene che su blog e social network una persona dotata di raziocinio scrive solo delle cose delle quali non gli interessa nulla, il che dimostrava quanto il tragico fatto fosse importante per tutti. Alcuni mi hanno risposto che loro sapevano, ma che non avevano scritto nulla perché quello era il momento del dolore, altri mi hanno detto che il silenzio dipendeva dal non aver voglia di accendere il fuoco delle polemiche “cosa ci stiamo a fare in Afghanistan, gli americani cattivi, l’invasione” – tutti confondendo, secondo me, l’esprimere un giudizio di valore con il condividere una notizia.
Non è, quella che qui sto raccontando, una cosa molto importante, me ne rendo conto. Ne parlo perché sui social network ci stiamo in tanti, e perché forse non ho di meglio di cui scrivere: so benissimo di frequentare un microcosmo, che – in quanto tale – non è rappresentativo che di se stesso; è solo che mi piacerebbe togliermi il cattivo retropensiero che tanti provano fastidio a parlare della gente in divisa quando questa non fa chiaramente la figura del cattivo. Magari è tutto molto semplice, magari quello di ieri è stato solo un caso, magari sono io che sono inutilmente e immotivatamente sospettoso – mi piacerebbe davvero che fosse così.