Tassametri
L’uomo si accomoda sulla poltrona, riservandomi il sorriso innocuo delle relazioni professionali che hanno la fortuna di non incagliarsi sulle antipatie. Da quanto tempo non ci vediamo, mi chiede. Un anno circa, rispondo io porgendogli il nuovo biglietto da visita; avrei detto molto di più, pensa lui a voce alta – poi mi guarda e mi chiede tu il mio, e accenna al santino di carta colorata, ce l’hai vero? Sfoglia un raccoglitore mentre scambiamo i primi convenevoli, osservo dove infila il cartoncino che gli ho appena porto, vedo che – non so per quale motivo – ha saltato un turno, un’azienda dove ho passato quasi due anni di vita, e in effetti fa un po’ impressione stare dall’altra parte della barricata in questo gioco di celo, manca, celo, celo, manca. Un’ora dopo, uscendo dal portone di questo palazzo nobile del centro milanese penso che le cose di lavoro sono tutto sommato semplici nella loro difficoltà, se hai bisogno alzi il telefono o scrivi due righe, se qualcuno ha bisogno alza il telefono o ti scrive due righe – come va, hai mezz’ora di tempo nei prossimi giorni – puoi stare un anno senza sentire una persona senza che questo sia un problema, siamo tutti qui on demand: hai bisogno? Eccomi, aspetta un momento che faccio partire il tassametro.