Capelli
Io non so cosa significhi per una donna andare dal parrucchiere, mettersi in mano a qualcuno che ti prende e ti cambia davanti ai tuoi occhi.
So cosa significa per me quella mezz’ora, seduto sulla stessa poltrona di pelle rossa e metallo laccato bianco sulla quale stavo – diosanto – quarant’anni fa. E’ il momento nel quale sento il rasoio, la macchinetta con i suoi denti che si muovono veloci, la sento sulla pelle, che taglia, come se scoprisse e liberasse, come se togliesse un peso, se portasse via delle scorie. A volte leggo. A volte mi fisso nello specchio, penso ecco, un paio di millimetri ancora ed è perfetto – il che è un po’ ridicolo, non per la differenza che possono fare due millimetri ma perché mi rendo conto che sto pensando “così sto bene”, neanche fossi bello, neanche fossi un attore del cinema, quell’immobilità forzata mi obbliga a vedere tutti i difetti, a fissarli, a imprimermeli nuovamente nella memoria, ma al tempo stesso tutto è relativo e allora sì, nel perimetro ristretto delle possibilità datemi da mia madre e mio padre “così sto bene”. A volte chiudo gli occhi, il mio barbiere lo sa che non dormo, ogni tanto scambiamo quattro parole ma a volte nemmeno una, e ogni volta quando ha finito mi chiede se voglio una colonia, o il gel, e io dico no, e lui “Ecco, siamo a posto”, io dico grazie e lui “e di cosa”, e io a volte vorrei spiegargli che quando lui appoggia il rasoio non mi sta solo tagliando i capelli. Vorrei, ma chissà, forse lo sa.