Pane al pane
Ci dev’essere stato un momento in cui qualcuno ha deciso che dire le cose come stanno, che chiamare la gente col loro nome non era solo giusto, ma consigliabile e doveroso, una specie di obbligo morale, di forma di rispetto e di omaggio della verità. Ci dev’essere stato un momento in cui qualcuno si è messo a pensare che Tucidide avrebbe dovuto far pronunciare agli Ateniesi che scuotono la testa di fronte ai Melii non la sublime battuta “mentre ci rallegriamo per la vostra ingenuità, non vi invidiamo la follia”, ma qualcosa di più terra terra, di più pane al pane, qualcosa come “Dio, quanto siete stronzi”. Ci dev’essere stato un momento così, che avrebbe poi portato un pubblico ministero a definire un imputato, in un’aula di tribunale, un incauto idiota, un momento nel quale avremmo pensato bene di buttare a mare qualche migliaio di anni di diplomazia e educazione e buone maniere, quelle che fanno dire le cose più dure e gli insulti più sanguinosi senza perdere né il rispetto per gli altri né – soprattutto – quello per se stessi, pensando che così saremmo stati più umani, più veri.