Le voci dentro
Da questi mesi di clausura in sedicesimo (quella vera è una cosa seria, non solo perché voluta) mi sarei aspettato molte cose, fra le quali il silenzio. O meglio, un po’ più di silenzio rispetto al solito. Ora, non so, forse è solo un’impressione e come tale va presa, valutata, pesata: ma mi pare che invece fin dal primo giorno, anzi fin da prima del primo giorno siamo accompagnati da tanto rumore in più. A volte un brusio, un ronzio di sottofondo, altre un insieme di voci che mettono decibel su decibel, un po’ metaforici e un po’ no. Non è solo questione del trovarsi tutti in casa contemporaneamente, cosa che nella vita di tutti i giorni capita tanto raramente a chi non vive da solo: se è per quello si può essere sufficientemente presi dal e concentrati sul lavoro o sullo studio da non aprire bocca per ore intere. E’ tutto un insieme fatto di notizie, chat, pensieri, Marco dice che, hai sentito il virologo, chissà chissà domani su che cosa metteremo le mani. Un rumore che pare impossibile da evitare, forse perché spesso lo andiamo a cercare: e non per horror vacui, non solo: anche per un legittimo, comprensibile, umano bisogno di capire e condividere. Ma il rumore confonde, sporca, copre. E anche coloro che dicono che questa formidabile combinazione di pandemia e quarantena gli ha fatto capire nitidamente il giusto e lo sbagliato, gli ha disvelato o confermato il buono e l’empio, anche questi mentono: sono confusi, come tutti, presi e intontiti dal rumore fuori, e dalle voci dentro.