Posta inviata
Primo Levi conobbe Heinz Riedt nel 1959. Impiegò anni per incontrarlo di persona e i due non smisero di darsi del Lei fino al secondo o terzo incontro faccia a faccia, che avvenne solo parecchi anni dopo l’inizio della loro collaborazione autore-traduttore e di quella che poco tempo dopo sarebbe diventata un’amicizia tra le più importanti nella vita di entrambi.
Si scrissero oltre cento lettere, scritte tutte in un italiano che noi oggi fatichiamo a sentire nostro per la bellezza, la ricercatezza senza affettazione, la cura. Era un’epoca in cui persone così si sedevano alla scrivania e stendevano una minuta, la rileggevano, la correggevano, infilavano un foglio bianco nella macchina da scrivere accompagnato da un foglio di carta carbone e uno di velina, battevano facendo attenzione a non fare errori e alla fine riprendevano in mano la penna per firmare. La velina restava nell’archivio personale, il foglio principale prendeva la via del servizio postale. Era un altro mondo, nel quale vale la pena ricordare che a fianco di persone come Levi e Riedt vivevano milioni di analfabeti: non è giusto sentirne nostalgia, ma un più o meno piccolo senso di perdita di alcune cose che rendono belli gli umani, ecco, forse quello sì.