Greetings from Valencia – 5. Trinidad Football Club
Valencia è circondata da un enorme, lunghissimo parco. Largo qualche centinaio di metri, e lungo molti chilometri. Ci trovi, ovviamente, tutto e tutti: cani, barboni, sacchetti di carta, anziani professori che leggono un libro, giovani coppie ad un passo dall’amplesso, fanatici del footing, turisti, blogger.
Ai lati del Ponte de la Trinidad ci sono due enormi spazi sterrati, di un colore ocra che al sole del tramonto mette quasi malinconia; dall’alto, dal ponte, si vedono decine di macchie di colore, bambini di quattro, cinque, otto, dieci anni, chi con la maglietta bianca e la scritta Toyota, chi con una canottiera verde che in molti casi è tanto lunga da coprire le ginocchia: quattro contro quattro, a provare a buttare il pallone dentro la porta fatta con i pioli usati per i lavori stradali. Non pensano a nulla se non a giocare, ai lati dei campi ci sono madri e padri molto rilassati. Uno dei gruppi si sta esercitando a tirare i rigori, spesso il pallone fa fatica ad arrivare alla porta. Mi vengono in mente i campi di baseball che stanno sotto il Queensboro Bridge a New York, quelli che forse sognano di diventare Derek Jeter o Barry Bonds, questi che sperano di scendere al Mestalla magari solo per fare i raccattapalle di Morientes e Vicente. Nel frattempo si divertono, e noi che guardiamo ci riconciliamo per cinque minuti con quella cosa che chiamano calcio. Se ci fosse da pagare un biglietto, lo farei volentieri.