Gruesse aus Muenchen ’09 – Freddo
Anni fa, nella neve di ottobre di Chicago, qualcuno mi disse che per gli americani il freddo – l’aria condizionata a sedici gradi, la birra ghiacciata nel bicchiere ghiacciato, l’ice machine sempre in funzione – è una specie di garanzia psicologica di pulizia, come se il freddo uccidesse tutto ciò che di brutto e dannoso può aggredire una persona.
L’ho sempre considerata una leggenda e una sciocchezza, ma quella frase mi torna in mente questa sera mentre attraversiamo Marienplatz e guardiamo le luci e ridiamo vedendo coppie che si aggirano smarrite seguendo le mappe di un BlackBerry e ascoltiamo un uomo di colore arringare la folla come se fosse il suo turno allo Speaker’s Corner di Londra, e c’è quest’aria fredda del nord, quella che ci stringe i polmoni, ci fa colare il naso e lacrimare gli occhi, c’è quest’aria gelida che sembra che tutto funzioni, che le cose siano più semplici, più lineari, meno faticose, c’è quest’aria nitida che ti pare tutto chiaro e persino allegro, e la respiriamo tutta, finché ce n’è.