Rane a Rubiera blues
Alle nove di sera Piazza 24 maggio è uno stadio vuoto, luminoso e gelido. La temperatura è finalmente scesa sotto zero, e sembra di stare in una città tedesca, con gli alberi decorati, le luminarie non pacchiane e quell’aria di ghiaccio che ti prende appena scendi dalla macchina e ti entra negli occhi fino a farli lacrimare – e allora ti pare di vedere più lontano, più nitido. Ci fermiamo per un secondo, con i cappotti infilati a metà e i nodi delle cravatte ancora ben stretti, e prendiamo freddo e fiato perché è stata la solita giornata di centinaia di chilometri e mail e telefonate e messaggi senza risposta e clienti da coccolare e colleghi da calmare e tutto il resto, e in quel secondo penso a quel vecchio pezzo, Rane a Rubiera blues, penso che non è stagione, penso chissà dove sono le rane adesso qui a Rubiera provincia di Reggio Emilia – poi lui mi fa cenno con la testa, entriamo, ho fame, e dietro il vetro della porta di ingresso vedo questa signora che potrebbe essere una mondina di Novi, fasciata nel suo abito nero con un grande fiore rosso al petto, buonasera avete prenotato?