Dieci passi (Erase and)
Ci vogliono dieci passi, uno più uno meno, per tornare dalla rete alla riga di fondo. Ha appena sbagliato una volée, ha appena visto la palla del passante incrociato tirato dall’avversario sfilare a tre centimetri dalla testa della sua racchetta e cadere lì dove per una lunghissima frazione di secondo ha sperato che non atterrasse. La telecamera lo punta mentre percorre quei dieci passi. E’ durante quei pochi secondi che riconosci
quello che ce la fa, e quello che no. Quello che ce la fa ha gli occhi vuoti, l’espressione indifferente al punto di essere assente; ha già dimenticato, è andato oltre. E’ già pronto per il prossimo servizio, per la prossima risposta. Non importa quale sarà il risultato finale, ce l’avrà fatta comunque. Erase and fast forward. Quello che non ce la fa, invece, quello ha gli occhi che parlano. Glielo leggi dentro il dramma. Dove ho sbagliato, non sono abbastanza forte, dovevo stare un passo più avanti, più a destra, piegare di più il polso, perché non ce la faccio, perché sono così stupido. Sembra pronto anche lui per il prossimo servizio o la prossima risposta. Sembra, ma invece no. Erase and rewind. E’ una partita di tennis, ma non solo. E’ una maledetta immagine della vita di tutti i giorni, con quelli che ce la fanno subito, quelli che ce la fanno impiegandoci mesi o anni, e quelli che non ce la fanno per niente. A volte è meglio cambiare canale, si soffre di meno.