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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    24/03/2013

    Stories of the Bund – Fengxian Lu

    Filed under: — JE6 @ 16:47

    Piove a dirotto su Shanghai, e quando piove questa città sembra più grigia di qualunque altro posto che io ricordi, più grigia di Mestre e di quel posto in Germania dove sta la Opel di cui adesso non riesco a ricordare il nome – troppo lungo, e troppe consonanti. Non so perché fa questo effetto, se è l’inquinamento o la luce di questa parte dell’Asia, non è il grigio della bruttezza come quella che mi descrissero in un febbraio di sette anni fa a Varsavia – you know, Communists were not interested in beauty – perché anzi qui di sforzi di costruire il bello nel nuovo ne hanno fatti parecchi, e qualcuno è anche andato a buon fine. E però è così, pare di camminare dentro una di quelle foto passate attraverso i filtri che ti scarichi sul telefono così poi su Instagram sembra che tu sia Cartier-Bresson, vira in bianco e nero, togli contrasto ed eccola Shanghai sotto la pioggia. Senza una ragione precisa cambio strada rispetto al solito, lascio Nanjing Lu West e quando arrivo al Family Mart dove la sera mi fermo a comprare il latte per la colazione prendo una parallela – è che non ho niente di preciso da fare, è una di quelle mattine nelle quali ti trovi in mano tutto il tempo del mondo e non sai nemmeno bene come usarlo tanto poco ci sei abituato, allora andiamo a vedere com’è il mondo a un tiro di sasso dal solito. E il mondo è un’altra strada cinese, con pochissimo traffico per il suo essere bizzarramente fuori mano nonostante la vicinanza al cuore della città, e poi lì, sulla sinistra c’è Fengxian Lu con le sue tre aiuole: la percorro, saranno centocinquanta metri, forse duecento, con una curva a novanta gradi e, appunto, queste aiuole. Che non sono nemmeno tali, sono dei piccoli giardini in leggera pendenza, due stanno dietro una ringhiera, sono fatti di un’erba verdissima macchiata di fiori piccoli e due piante di rose rosse, rampicanti. Guardo le case, una manciata, sono basse e già questa è una notizia in una città che ha più di quattromila palazzi alti più di cento metri, hanno un’aria familiare, soprattutto l’ultima che è fatta di mattoni rossi. Lo so dove ti ho già vista, penso – Leeds, York, Perth, Inghilterra, Scozia. Non è nemmeno questa la cosa sorprendente, qui capita spesso di trovarsi davanti ai resti delle cento dominazioni coloniali che si sono succedute fino a un secolo fa, a noi europei basta niente per riconoscere le architetture, i giardini, qui i francesi, là gli inglesi, e i prussiani. Non è quello, ma il colore, come la bambina con il cappottino rosso in Schindler’s List. Ritorno sui miei passi, rientro nella via cinese, poco più avanti si vedono i vapori di cottura che escono dalle decine di microscopici locali che uno a fianco all’altro danno da mangiare per pochi yuan e se non sbaglio non sono lontano dal negozio dove ho comprato uva e pesche e vendevano il bambù a undici yuan a canna – chissà chi abita le case di mattoni rossi di Fengxian Lu.

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