In nome della legge
L’ho guardata quattro o cinque volte, l’intervista di due anni fa che Giovanna Pancheri di Sky fece al direttore di Charlie Hebdo. Un po’ perché rimanevo ipnotizzato guardandolo, sembrava che fosse appena uscito dal liceo e invece aveva quarantacinque anni, un po’ perché diceva questa cosa vera e fastidiosa, non mi interessa il rispetto, che è una cosa soggettiva, i limiti me li dà la legge francese. E alla fine nel mio piccolo penso che stia tutto lì, in una cosa che dimentichiamo costantemente, una cosa che si chiama legge e che nelle nostre società – pur con tutti i suoi limiti e imperfezioni – non è soltanto un insieme di vincoli, di limiti, di legacci, di non-si-può-fare-questo-e-quest’altro, ma è il punto di incontro (e di compromesso) fra tutti noi, quello che dobbiamo accettare e quello che vogliamo che venga accettato. La legge è umana e quindi, appunto, imperfetta: e infatti passiamo molto tempo a discutere di come modificarla, cambiarla, sostituirla. Ma c’è, in ogni momento. In ogni momento la legge siamo noi: io, tu, voi, loro, senza distinzioni. Domani la legge sarà un po’ diversa, sarà altro perché noi cambiamo. Ma intanto c’è, con un valore infinitamente più grande di quello micidialmente povero che gli attribuiamo normalmente. Questo non impedisce a qualcuno di prendere un AK-47 e ammazzare dozzine di persone, ma ricordarcelo dovrebbe servire a tutti gli altri – vogliamo dirlo? a noi -, per non farci perdere tempo, e energie, e farci concentrare sulle cose importanti, quelle che dicono chi siamo, e come stiamo al mondo.