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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    27/05/2015

    E invece

    Filed under: — JE6 @ 17:16

    Ci sono posti che non riesci a immaginarti diversi da come li hai visti, nemmeno se ti sforzi. Ho perso il conto di quante volte sono stato nella Grand Place di Bruxelles ed è sempre stato un luogo bello, pieno di una strana calma anche quando era pieno di turisti o quando cadeva una pioggia feroce. E pure lo stadio della città, quello che una volta era l’Heysel e adesso porta il nome di un re, visto in un giorno di novembre, anche quello: sta al limitare di un parco, grande verde e tranquillo come può essere un parco belga, e fai fatica a vederci i morti, il sangue, i poliziotti a cavallo che non sanno cosa fare, gli ubriachi e tutto il resto. Non sembra possibile, semplicemente. E invece.

    08/08/2014

    Cinque vasi e uno sgabello

    Filed under: — JE6 @ 18:05

    Come si scordano in fretta le cose, l’anno scorso mi cercavo immagini per descrivere Detroit ed erano tutte olocausti nucleari, bombe H, alieni, quando sarebbe bastato ricordare L’Aquila vista un anno dopo il terremoto in una deviazione tra Teramo, Tivoli e una via dalle parti di Castro Pretorio.
    C’è qualche impalcatura in meno oggi, e ci sono un paio di bar aperti in più lungo il corso che porta al Duomo. Su un balcone sono rimasti cinque vasi e uno sgabello, un fermo immagine che ti porta indietro di cinque anni secchi. Non ci sono le divise dell’Esercito, le ricorda una scritta su un telo bianco all’ingresso della Zona Rossa, “mi mancano i militari”, dice. E non c’è più l’atmosfera di tragedia, la sensazione di dolore e compassione, ci sono lo stesso silenzio polveroso, lo stesso tintinnare di ganci che sbattono sui ponteggi, lo stesso clic delle macchine fotografiche e dei telefoni che portano a casa il che-disastro-che-tristezza di foto che nessuno guarda, solo depurato dalla sensazione di imbarazzo e vergogna che si ha nel ritrarre la sventura altrui. Le macerie, quando sono fumanti, hanno ancora dentro abbastanza morte da ricordare la vita; quando si raffreddano diventano museo, e quei dieci uomini con l’elmetto giallo che girano intorno a una delle cento gru messe al posto delle antenne televisive devono esserne i guardiani, o gli uscieri.

    03/07/2014

    Greetings from Ljubljana 2014 – Prima della tempesta

    Filed under: — JE6 @ 22:41

    Sai quella cosa di prima della tempesta, la quiete, domani prevedono brutto anche se ci sarà il sole e allora ci vogliono quattro passi in riva al fiume, e lungo le vie acciottolate a guardare col naso all’insù questi strani ombrellini di carta che pendono insieme alle scarpe vecchie appese come ad Harlem, a bere una birra in mezzo ai ragazzi con gli zaini e alle donne dalle gambe lunghissime, ad ascoltare il trio blues che si mischia col quintetto gitano, a fissare il marmo splendente del municipio, a girare gli angoli di un posto che conosci quasi come casa tua, a fermarsi sul ponte, quello lì, quello da dove si vede la luce porpora. Te la ricordi Ljubljana, sì? Come se fosse venerdì sera, come se fosse estate.

    25/04/2014

    Greetings from Leeds 2014 – Di bocca buona

    Filed under: — JE6 @ 17:57

    Non so se sono di bocca buona, se sono uno di quelli che dove li metti sta, so che torno in questo posto che alla fine non ha niente di speciale, non va sulle guide turistiche, e ci sto bene, sto bene all’Horse and Trumpet a bere birra al banco insieme a una signora che ha conosciuto tempi più felici e ride quando mi vede trafficare con le monete per pagare il conto, sto bene sul ponte illuminato da luci violette che porta alle case di mattoni rossi sui canali di Navigation Walk, sto bene guardando la scritta rossa in cima alla fabbrica della Tetley’s – tutte cose che ho visto e rivisto e sì, certo, mica mi dispiacerebbe essere a Barcellona o Berlino, epperò la campagna dello Yorkshire vista dai finestrini del TransPennine Express, devo essere proprio di bocca buona, o devo avere bevuto troppo, perché in fondo non avrei tutta questa voglia di fare a cambio.

    Greetings from Leeds 2014 – Al sole

    Filed under: — JE6 @ 17:44

    Bring on a coat, mi scrive Martin. Lo faccio, e mi servirà; ma a metà mattina, mentre cammino dalla stazione verso il palazzo di vetro dove passerò il resto del giorno, splende il sole. E allora come ogni volta che vengo al nord – non importa dove, Germania, Gran Bretagna, Slovacchia – mi sento un po’ come il Totò che insieme a Peppino arriva a Milano, io con il mio giubbotto leggero che guardo la gente che affolla i marciapiedi come lucertole che hanno aspettato il caldo troppo a lungo, tutti con un mezzo sorriso, un po’ beato e un po’ incredulo, e se non mi stessero aspettando mi fermerei a fare due chiacchiere con qualcuno, darei un cinque a questo ragazzone che sembra preso da Point Break e gira con le infradito, anche se non fumo chiederei una sigaretta a questa ragazza bionda dalle braccia tornite che tira le ultime due boccate seduta su un muretto davanti all’ingresso di una charity vestita di una tshirt azzurra che pare fatta di carta velina, starei lì, a capire cos’è la primavera, perché noi in fondo non lo sappiamo, non come loro.

    28/02/2014

    Greetings from London 2014 – Senza foto, vicino allo stadio

    Filed under: — JE6 @ 17:28

    Vorrei avere più tempo, vorrei potermi fermare davanti a ogni tomba, a ogni lapide. Ma ho solo mezz’ora, incastrata tra due appuntamenti. E’ quella che mi basta per percorrere il lungo viale centrale che taglia il Brompton Cemetery, e guardare le croci, quelle nostre e quelle con due braccia in più con le scritte in cirillico, e sentire l’aria fresca di Londra in un giorno di sole perfetto. E’ un libro di storia questo posto, una pagina per il generale che ha assediato e conquistato Sebastopoli, una per il filantropo della fine dell’Ottocento, una per il mercante delle Indie, una per “la mia carissima amica” – che trovo struggente, penso a una donna senza parenti ma con un’amica così vicina da essere la persona che le ha curato il funerale, e la sepoltura. Il terreno è fatto di avvallamenti, cunette, saliscendi, non c’è una sola tomba in piano al Brompton Cemetery; e non c’è una sola fotografia, nemmeno sulle tombe degli anni Trenta o Quaranta. E’ bello provare a immaginarsi i volti che stavano dietro a nomi che non usano più, i vestiti, ed è strano fermarsi al centro del cimitero guardando verso ovest, stare nel mezzo dell’Ottocento, avere a destra il grattacielo dell’Empress State Building e a sinistra lo stadio di Stamford Bridge, così vicini da poterli toccare, da potersi toccare come la nipote e la bisnonna della gita a mezzanotte di Roddy Doyle, come due vite, di cui una fatta di morti.

    25/02/2014

    Greetings from London 2014 – Vetrine

    Filed under: — JE6 @ 23:23

    A volte si torna nei posti come si ritorna dagli umani – per vedere se sono cambiati, e come: e soprattutto se ci sono ancora e se sì, se ti riconoscono, se ti vogliono ancora. Così arrivo a Leicester Square e vado a cercare quella vetrina, quand’è stato che l’ho vista per la prima volta, devono essere sei o sette anni fa, so che è da queste parti, prendo Charing Cross Road ma niente, e dopo un po’ come al solito smetto di seguire un percorso preciso, giro angoli a caso, riconosco pub dove ho mangiato e mi fermo a guardare librerie dove comprerei tutto, bevo una pinta di ale, attraverso Chinatown e quando credo di essermela lasciata alle spalle per un lunghissimo secondo vengo trafitto da un odore che mi precipita a Shanghai, a Fengyang Lu. E poi, dopo un paio d’ore, eccola, quella vetrina. A cinquanta metri dal punto in cui ho iniziato il giro, mi sarebbe stato sufficiente voltare lo sguardo per vederla: ma niente succede per caso. Mi avvicino, mi fermo sul marciapiede, è sempre la stessa, piena di pennelli, gessetti, tubetti di colore, cornici, so di averci anche comprato qualcosa, forse un blocco da disegno, o delle matite, magari un regalo. E’ tardi, il negozio è chiuso, passa una ragazza con i capelli scuri e gli stivali con la punta arrotondata che mi getta un’occhiata veloce e sfila via, e poi è l’ora di lasciar perdere i simboli e andare a prendere il vento in faccia sopra il Tamigi in mezzo ai turisti che aspettano il suono del Big Ben.
    Let’s fill this town with artists, 13 Charing Cross Road, London (pic by Gigideque)

    24/02/2014

    Greetings from London 2014 – Harmlessly passing your time in the grassland away

    Filed under: — JE6 @ 23:08

    Ho girato intorno all’enorme cantiere del suo ammodernamento, gru, betoniere, caschi gialli e giubbotti fosforescenti, ho costeggiato il fiume che le scorre davanti e le case di lusso che le stanno a fianco, ho camminato avanti e indietro fino a che la schiena mi ha chiesto basta, e tutto sempre senza mai riuscire a staccare gli occhi dalle quattro ciminiere, dalla struttura di mattoni scuri enorme e leggera, senza mai smettere di sentire nelle orecchie quella prima riga, harmlessy passing your time in the grassland away – ognuno ha i suoi pellegrinaggi privati, i posti che lo attirano come calamite a dispetto delle mille altre cose che si potrebbero fare in quelle due ore, come se ci fosse il bisogno fisico di vederli e toccarli e sentirne i suoni e gli odori, non importa se questi sono le zaffate sputate dai motori delle ruspe, fino alla prossima volta, se saranno ancora in piedi.
    Battersea Power Station, un pomeriggio d’inverno

    21/02/2014

    Le vetrine di Detroit

    Filed under: — JE6 @ 09:00

    (…) i giapponesi, i tedeschi, i coreani. Il mondo ha continuato a fabbricare e comprare automobili: Detroit no. Gli altri erano più bravi, più veloci, più economici, più fantasiosi – quei demoni dei giapponesi non avevano stabilimenti negli Stati Uniti e allora attrezzavano le navi per poter continuare gli assemblaggi durante il viaggio lungo l’oceano, così quando arrivavano in porto erano già pronti per i concessionari. Gli stabilimenti hanno chiuso, i fornitori dell’indotto pure, licenziamenti, disordini razziali, l’esodo di due terzi della popolazione e in qualche modo l’intera città ha tirato giù le serrande in attesa che qualcuno venisse a comprarsi in saldo quel che rimaneva.

    Quelli di Left Wing si ostinano a farmi scrivere letterine. Questa è quella pubblicata nel numero 2 (nel quale trovate pure un pezzo della compagna De Cinti, che gradirete assai se a suo tempo vi siete innamorati di Julie Delpy e/o se siete rimasti degli irrimediabili sedicenni). Ah, tenendo conto che nella rivista trovate tanta roba buona, abbonatevi.

    08/12/2013

    Con un mazzo di rose, davanti ai Bagni Tina

    Filed under: — JE6 @ 08:55

    Piazza del Popolo è piena di gente, alle sette di sera. I capannelli al piede dei portici, i clienti che scelgono tra miele di castagno e di acacia, lo struscio davanti ai negozi di scarpe. Un formicolio non frenetico, senza l’allegria minacciosa della Romagna che sta a due passi, come se attraverso il mare e le colline ci fosse davvero un confine che nessuno vede, nessuno sente e tutti percepiscono. Non so cosa succede in quelle due ore durante le quali mi siedo sotto una volta di legno a mangiare, so che quando ripasso sotto l’arco che mi riporta nel grande rettangolo della piazza tutto ciò che è rimasto è la fontana. Non c’è più nessuno, non una sola persona da lì, lungo via Rossini e fino al mare, ci sono solo le luci, identiche a quelle di prima, luci non ricche ma benestanti: ma non un’anima viva, una mano di Photoshop e via, sono rimasti solo i palazzi, e le ville, e gli alberghi squadrati. A gelare guardando il nero del mare siamo rimasti io, una ragazza con un cappello di lana calcato sulla fronte e un signore che porta in giro il cane. Pesaro alle nove di sera di un venerdì di dicembre è gente che non senti più, telefonami tra vent’anni, è negozi che aspettano il giorno dopo, è un caffè con i tavoli rossi, e un ragazzo indiano con un mazzo di rose, che fermo davanti all’ingresso dei Bagni Tina guarda dentro, al di là delle vetrate di un ristorante, senza dire una parola, lontano mille miglia.