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    21/03/2005

    La partita di pallone

    Filed under: — JE6 @ 12:27

    Mancavo dallo Stadio (e da uno stadio tout court) da otto anni, forse nove, e ci mancavo in compagnia di mio padre da circa venticinque. Insomma, avevo ricordi abbastanza sbiaditi. Oggi, sono un po’ più freschi e nitidi, per quel che valgono.

    La legge Basaglia
    L’abitante della curva, ambiente mitologico che consiste in una frazione più o meno ampia dello stadio e che raccoglie coloro che si presume siano i sostenitori più fedeli ed appassionati della squadra di casa, è, mediamente parlando, un babbeo. Il cosiddetto “capo” lo è con la lettera maiuscola. Non saprei come altro definire un signore che va allo stadio, sostenendo spese di ogni genere, e sostanzialmente non guarda la partita, in quanto impegnato a tenere in mano un megafono, dettare lo slogan del momento, aizzare i pestatori di tamburi, stendere e poi ripiegare gli striscioni. Il tutto, con le spalle rivolte al campo.

    Lo zoo (1)
    L’abitante della curva riceve un volantino che invita a combattere il razzismo negli stadi.
    La partita viene preceduta dalla lettura di un appello e dalla proiezione di un filmato sullo stesso argomento. Si noti che una delle star del filmato è anche il giocatore più rappresentativo della squadra di casa, il quale è un bel ragazzone di colore.
    La squadra ospite mette in campo a sua volta un giocatore dalla pelle scura. Il quale, ogni volta che toccherà il pallone, verrà salutato da un coro proveniente dalla curva e dai suoi abitanti: il testo recita “Buh! Buh! Buh!”.

    Lo zoo (2)
    Ogni stadio è diviso in zone, che accolgono diversi tipi di spettatori, tra loro omogenei: la curva per gli ultras, la tribuna stampa per i giornalisti, il ghetto per i tifosi della squadra ospite, la tribuna d’onore per i facoltosi e così via. Dati i peculiari comportamenti aggressivi della maggior parte di questi gruppi, le zone sono tra loro divise da barriere fisiche, consistenti in grandi strutture metalliche dotate di reti o di pareti di plexiglass, al fine di tenere tra loro separati soggetti che potrebbero accoltellarsi da un momento all’altro, senza nemmeno una ragione (valida o meno). Le parti esterne di queste grandi gabbie sono conformate in modo da impedire la vista di almeno il 50% del campo; ça va sans dire, il prezzo del biglietto pagato da coloro che siedono in quelle zone non è proporzionalmente decurtato.

    L’inflazione
    E’ cosa nota che l’inflazione è una convenzione, è una media delle medie, è il pollo di Trilussa elevato al cubo. Sarebbe interessante il calcolo del costo della vita e del tasso d’inflazione all’interno dello Stadio dove, per dire, una bottiglietta di the da mezzo litro costa quattro (4) Euro. Il vostro cronista non ha avuto cuore nemmeno di chiedere la quotazione per un Cornetto Algida.

    L’aeroporto
    All’ingresso dello stadio, gli spettatori vengono accolti da addetti al volantinaggio che li omaggiano con materiale cartaceo di ogni foggia e consistenza (soggetti di ieri: pubblicità del digitale terrestre e appello contro il razzismo negli stadi – vedi sopra). Una stima empirica fatta dal vostro cronista consente al medesimo di valutare che non meno del 65% dei volantini di cui sopra assuma, durante la partita, la forma di aereo di carta, il quale, grazie alla forma medesima, raggiunge una o più nuche appartenenti agli spettatori sottostanti. Ciascun spettatore, quindi, viene raggiunto da un numero di aerei di carta che va dai tre ai tredici, nell’arco delle due ore che passa nello zoo.

    “Ma perchè la domenica mi lasci sempre sola e non mi porti a vedere la partita di pallone”.
    O benedetta ragazza, ma lo sai quanto sei fortunata?

    14 Responses to “La partita di pallone”

    1. dado Says:

      Egregio me lo lasci dire: non ci ha capito un cazzo!!
      Lei incimpa nello stesso errore rimproverato da carlo a joi ito: luoghi comuni e generalizzazioni.

      Mi offro fin da subito per una visita guidata ad una curva “altra” e per spiegarle un paio di concetti sul campo.

    2. Squonk Says:

      Invito accolto; nel frattempo, la pregherei di spiegare qui, in pubblico, dove ho peccato (la curva, vero, è quello il problema?)

    3. dado Says:

      tutto è il problema. ci vogliono strumenti anche per affrontare dinamiche che sembrano semplice ma che sono molto complesse.
      (poi che i buuu siano squallidi, stupidi e da ignoranti non lo nega nessuno, ci mancherebbe, io reagisco sempre male quando ne sento un paio, ma per fortuna il nostro idolo è colored… 🙂

    4. Squonk Says:

      Carissimo, legga la posta, e mi faccia sapere. Il titolare, nel frattempo, attende di essere convinto che ciò che ha visto era frutto di allucinazione.
      Ah, per la precisione: la partita alla quale il titolare ha assistito è Inter-Fiorentina. La curva descritta, quindi, è quella dell’Inter. Il titolare chiede scusa per la generalizzata accusa mossa a tutti gli abitanti della curva, i quali, però, com’è noto, si presentano come un insieme, e non come individui.

    5. dado Says:

      leggerò. la partita specifica l’avevo già capito qual’era…

      non è solo un problema di curva ma di curve…

    6. lester Says:

      Tutto vero. E nonstante tutto ciò, la partita allo stadio è una delle cose più belle del mondo, anche grazie ai suddetti animali, che quando celebrano l’amore per i propri colori anziché l’odio per quelli altrui sanno mettere in scena spettacoli commoventi (e sempre animali restano, ma insomma…)

    7. Squonk Says:

      Dico solo questo, in attesa della replica di Dado: Lester ha ragione. Lo spettacolo di una partita allo stadio è impagabile: a San Siro, quando, una volta salite le scale, ci si affaccia sugli spalti, si è come inghiottiti da un quadro (l’autore sceglietelo voi, purchè vi piaccia). E i cori ritmati, i battiti delle mani, il boato quando la squadra di casa segna. Bello, niente da dire. Ma ho l’epidermica sensazione che queste cose belle siano ormai soltanto dei dettagli, che ci sia poca gioia e tanta aggressività idiota, immotivata: dico, si può fischiare gli avversari prima ancora che inizi la partita?
      Non so se riesco a farmi capire. Ho un unico modo, al momento: raccontare dello spettacolo sportivo più bello che io abbia mai visto: Atlanta Braves contro Colorado Rockies, MLB, Atlanta, maggio 1996. Stay tuned.

    8. Effe Says:

      questa è satira politica
      Lei parla di curve per parlare di tangenti

    9. dado Says:

      e allora dopo la citazione “americana” mi tocca mettermi all’opera… perchè è proprio lì la chiave di tutto.

    10. dado Says:

      iniziamo con qualcosa su cui al momento siamo tutti d’accordo:

      “Parte del piacere che si ricava dall’andare nei grandi stadi di calcio è un piacere parassita e riflesso, perché a meno che uno non vada nel Nord Bank, nel Kop o nello Stretford End (settori occupati dai tifosi nei vari stadi inglesi N.d.R.) vuol dire che per l’atmosfera si appoggia agli altri; e l’atmosfera e una delle componenti fondamentali nell’esperienza del calcio.
      Questi enormi settori sono tanto importanti per i club quanto i giocatori, non solo perché i loro habitué offrono un supporto di tipo sonoro alla squadra, e non solo perché forniscono grosse somme di denaro (anche se non sono elementi trascurabili) ma perché, senza di loro, a nessuno altro importerebbe niente di andare allo stadio.”

      Nick Horny, febbre a 90°

    11. Lotrovassi Says:

      Caso raro, c’ero anch’io ieri a San Siro (motivi che mi ci hanno spinto: partita non particolarmente sentita, clima perfetto, non troppo caldo nè freddo, ricorrenza familiare da onorare). Concordo sull’analisi di curve, babbei e inflazione (il cornetto: 4 euro pure lui). Però: c’era lei, c’ero io, c’erano diverse migliaia (migliaia) di persone non razziste, ragionevolmente ragionevoli, appassionate senza essere stupidamente ottuse (anche la giovane e cordiale coppia di fiorentini seduti accanto a me – secondo anello, lato est -. Sì, loro – soprattutto la fanciulla – hanno fatto gli aeroplanini di carta, mentre io ho cazziato mio figlio che lo voleva fare, e un po’ sono pentito). Insomma, le curve son quel che sono, e a molti sembra convenire così. Però c’è anche altro, suvvia.

    12. dado Says:

      persino alberoni l’ha capito:
      (corriere prima pagina, dio mi perdoni non avrei creduto di dover citare alberoni)

      Il tifo per la propria squadra è totalmente gratuito, disinteressato. Questo fatto ci dimostra che gli uomini sono capaci di amare, dedicarsi, lottare e soffrire per qualcosa da cui non ricavano nessun vantaggio materiale. Che provano il bisogno di aderire ad una comunità, di sentirsene parte, di combattere per lei. Questa straordinaria energia sfugge alle leggi dell’utile, del calcolo economico, dei costi benefici.
      Tutte le società nascono come movimenti collettivi e in questa fase domina nettamente la componente non utilitaria, cioè la fede, l’entusiasmo e la dedizione disinteressata. La gente si getta anima e corpo nell’impresa ed è perfino pronta a morire per il suo partito, per la patria. Poi, gli interessi utilitari incominciano a prevalere nuovamente sulle mete ideali. Così si passa – scrive Max Weber – «da una vita di impeto ed emozione fino a una lenta morte per soffocamento sotto il peso degli interessi materiali».
      Quando i membri della classe dirigente non credono più negli ideali ispiratori ed agiscono solo per arricchirsi o conservare i propri privilegi sono incominciati il declino e la sfiducia. Perché la gente esige risultati economici e di efficienza, ma vuol anche sentirsi parte di una comunità e ha bisogno di slancio, di dedizione disinteressata e di pulizia morale. Se i gruppi dirigenti non gliela sanno più dare, perché devono seguirli?

    13. severine Says:

      ops, scusate, non sapevo che fosse la porta degli spogliatoi… cercavo l’uscita.

    14. sphera Says:

      Sono stata a vedere una partita la settimana scorsa per la prima volta in vita mia. Avendo visto gli stadi solo durante i concerti mi ha molto sconcertato che ci fosse un sacco di luce. Per il resto mi son divertita. Peccato che questa cosa degli aereoplanini non l’ho vista, ma proprio nemmeno uno, accidenti. Ah, abbiamo vinto.

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