Da queste parti, per educazione e per deformazione professionale, si è soliti pensare che quando non veniamo capiti è principalmente per causa nostra: poca chiarezza, uso sbagliato delle parole, tono ambiguo, e cose del genere.
Rimango di questa convinzione, naturalmente. Ma, altrettanto naturalmente, ogni regola vuole le sue eccezioni, questa come quella secondo la quale ogni blogger ha i commentatori che si merita. Non sempre è vero, purtroppo. Leggo Massimo Mantellini da quasi cinque anni, e l’unico motivo che trovo a giustificazione della presenza tra i suoi commentatori di un manipolo di cocciuti individui che in altri tempi sarebbero stati definiti come troll è quello che nella massa – se non altro per meri motivi statistici – non possono non albergare anche loro. Questo gingillo che abbiamo fra le mani – il blog, voglio dire – è l’ennesima riproduzione di ciò che siamo e che siamo diventati: persone molto vogliose di parlare ma quasi totalmente indisponibili ad ascoltare, incerte, impaurite e perciò aggressive, insofferenti, dogmatiche, spocchiose. Non dubito del fatto che, come altri più illuminati di me affermano – in forza dell’ottimismo della speranza, direi – il gingillo sia più che tale: è – o meglio: può essere – uno strumento di grande potenza e ancor maggiore utilità. Ma è pur sempre uno strumento, non dotato di vita propria: è come un’automobile; già, è come quell’insieme di plastiche e lamiere che a volte viene guidato da gente con la testa sulle spalle e che però fa l’errore di far salire a bordo quattro coglioni che lo instupidiscono fino a farlo schiantare.
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