Stories of the Bund – Bambini
Hanno gli occhi grandi, i bambini cinesi. Anche quelli che ce li hanno lunghi e sottili come le barche dei disegni che qui fanno usando il polpastrello del mignolo. Sembrano allegri, i bambini cinesi; è difficilissimo sentirli piangere, e non perché siano in apparenza sottoposti a severissimi regimi educativi – non si vedono né sentono rimproveri aspri, manrovesci in pubblico, occhiate “adesso facciamo i conti”: anzi, ci sono tanti sorrisi e una specie di strana dolcezza che pare legare tanti adulti ai piccoli, figli o nipoti che siano. Per forza sono coccolati, ti viene da pensare: qui di legge puoi fare un figlio solo, e solo poche coppie hanno il permesso di avere il secondo; poi continui a pensare, e ti rendi conto che in Italia di leggi che fissano il tetto massimo di procreazione non ce ne sono, e ciò nonostante è diventato un paese di figli unici, che tengono il broncio a genitori dalle facce allegre come quelle di chi va a un funerale. Sono belli, i bambini cinesi. Come tutti i bambini del mondo, certo. E’ che fai il confronto con gli adulti, e ti chiedi quand’è che si trasformano, perché sarà pur vero che la bellezza è soggettiva, che i canoni estetici sono il prodotto di millenni di storia e cultura e tradizioni, ma buon Dio, si fa fatica a dire che questo sia un bel popolo, che invece è una cosa che ci viene da dire e pensare guardando, chessò, gli ungheresi che sono tutti magnifici. Ogni tanto incroci lo sguardo dei bambini cinesi e loro ti fissano curiosi e stupiti, anche in questo tanto diversi dai loro genitori e dalla loro sovrana indifferenza, hanno un’espressione che pare dire “ehi, ma tu chi sei, come mai hai la faccia diversa da quella di papà” ma non scappano, non hanno paura, ti si piazzano davanti fermi sulle loro gambette sode, e spesso fanno un mezzo sorriso, e vai a sapere perché tu ti senti contento.