La terra che è caduta
Era un normalissimo giorno di estate quello nel quale vidi la diga. Sapevo tutto, la storia, la terra che cade, l’acqua che salta, il rumore, il paese piallato dall’onda. Come altri posti che avevo visto non sembrava esserci nulla di tragico, anche a Dachau c’era il sole, anche intorno al buco delle torri gemelle c’erano i taxi che si muovevano portando in giro i turisti. Poi la ragazza che faceva da guida, una volontaria che molto probabilmente era una lontana parente di qualcuno che sotto l’onda era rimasto, ci disse di portarci il più possibile sotto la diga. Facemmo qualche passo avanti e alzammo tutti la testa. Era un muro immenso, e da lì sembrava altissimo, ancora più di quanto non sembrasse dalla strada che attraversa la valle. La ragazza stava alle nostre spalle, noi con gli occhi puntati verso la cima della diga, lei chissà. Sentii soltanto la sua voce che diceva “ora guardate lo spazio che sta sopra di voi, e pensate che ne avete almeno altrettanto sotto i vostri piedi; ecco, quella è la terra che è caduta”.