Honoris causa
Io non ho nulla contro Valentino Rossi (non è vero: non lo sopporto, e poi è uno che fa pubblicità alla Nastro Azzurro, santiddio), nè contro Vasco Rossi, Francesco Guccini, Luciano Ligabue, Paolo Conte e compagnia cantante e sgommante.
Ma tutta questa fregola di insignirli con lauree honoris causa, francamente non me la spiego se non come una diversificazione delle politiche di marketing delle università italiane. Resta da vedere se i titoli accademici dati a casaccio non si tramuteranno, prima o poi, in boomerang che andranno a colpire il recruiting direttamente sul setto nasale: ci saranno pure degli studenti che diranno “beh, se l’hanno data anche a ValeRossi, quella laurea probabilmente non vale un cazzo“.
Acidosignore
June 1st, 2005 at 11:40
“Come accaparrarsi il Testimonial” aggratis o quasi.
Cepu docet (anche se sembra un ossimoro). Au revoir
June 1st, 2005 at 12:41
cioè, compagni, il problema è a monte (ognuno ha il suo gergo, chevvuoi). le lauree umanistiche o para-umanistiche, quando partono da presupposti di massa, (come Sc. della Com.) hanno ormai poco valore in tutta Europa. il gioco al ribasso è generale. gli esami si riducono a pochi schemini messi in croce, e in realtà sono pure troppi perché ci si possa riflettere sul serio. la faccenda del marketing, purtroppo, è in gran parte vera.
poi ci sarebbero le scuole di eccellenza, ma è troppo presto per definirne i risultati.
ad ogni modo, quello delle lauree h.c. è un fenomeno marginale, che fa parlare i media (e i blog) a seconda dell’importanza del neolaureato. accanto un cantante che fa notizia, ci saranno sempre studiosi e ricercatori di varia importanza. quando l’insignito era un politico, come del resto ancora succede, riflettori e flash si scomodavano di meno.
tutto dipende dalla lungimiranza del Rettore, dall’importanza dell’Ateneo, e dal grado di cultura generale espressa dalle autorità universitarie.
detto questo, non fosse stato per la Lecciso, anche Al Bano avrebbe già ottenuto il suo bravo diplomino.
June 1st, 2005 at 12:52
Ohè, giù le mani dal poeta e avvocato Paolo Conte. In che razza di compagnia me lo ha messo?
June 1st, 2005 at 13:10
Acido, lei che è del ramo: ma non è che questo florilegio di titoli onorifici dipende anche dal fatto che siamo ancora terribilmente legati al valore (di status sociale, quantomeno) del famoso “pezzo di carta”? Altrimenti, perchè dare tanto valore mediatico alla concessione di un titolo che ognuno invece sa essere a dir poco svalutato?
June 1st, 2005 at 13:13
… e c’è già chi pensa a ì Machiavello d’oro
June 1st, 2005 at 13:17
si può anche pensare a una “Bonolis Causa”, senz’altro più prestigiosa
June 1st, 2005 at 13:30
come direbbe b.georg, “saremo brevi”: ai tempi che Berta filava, la laurea h.c. era l’equivalente di ciò che in altri Paesi è il dottorato h.c. Ora, da più di vent’anni il dottorato c’è anche da noi, ma il titolo di Ph.D (per limitarci sempre alle sc. umane) non ha mai acquisito il significato feticistico assunto dalla laurea. ci sono poi i fighetta delle parti vostre che hanno cercato di dar lustro al concetto di “Master” (un titolo in realtà equivalente alla laurea), ma questa è un’altra storia.
fatto sta che, per molti, la laurea costituisce ancora un importante traguardo sociale. sarà anche svalutata sul piano culturale, ma si sa che nell’immaginario italico questo è la cosa che conta di meno.
June 1st, 2005 at 13:52
non so se la laurea sia così svalutata, ma una cosa è certa: di istruzione post-secondaria non c’è di sicuro inflazione. Guardare qui per un confronto con UE a 25, US, JP
http://trendchart.cordis.lu/scoreboards/scoreboard2004/indicators_1.2.cfm
June 1st, 2005 at 15:02
In realtà non è così, fare paragoni col sistema anglosassone è quasi impossibile. In america devi fare 12 anni complessivi di scuola (inferiore e superiore) prima di accedere al college. Poi si fanno 4 anni di undergraduate prima di prendere il Bachelor of Science (che è l’equivalente della nostra laurea). Fanno 16 anni in totale, contro i 17 del nostro sistema. Il problema è che da noi sono pochissimi quelli che si laureano in 4 anni – oltre al fatto che esistono molti corsi di laurea che durano 6 anni. Il Master comporta altri due anni, dopo aver preso il BS (il Phd mediamente altri tre-quattro, dopo aver preso il master).
In realtà il Master non è quasi mai un semplice proseguimento del corso di studi, tanto è vero che per accedere a un corso MBA di quelli buoni è requisito fondamentale avere alle spalle almeno un biennio lavorativo. Quindi, ai fini pratici, l’equivalente della laurea è il BS (che tutti gli anglosassoni prendono a 22 anni).
Da notare che questo si traduce, almeno nel nostro mondo globalizzato, in uno svantaggio secco di 4-5 anni. Infatti il nostro bravo pischello neolaureato italiano inizierà mediamente a lavorare a 26/27 (poi bisognerebbe calcolare il militare, se è maschietto) e, se entra in una multinazionale, tutti i suoi coetanei stranieri avranno almeno 4-5 anni di esperienza più di lui – abbastanza per fargli la pipì in testa fin da subito, laurea o non laurea. Altro ci sarebbe da dire sulle conseguenze perverse del nostro sistema (età pensionabile, ecc.), ma la chiudo qui.
June 1st, 2005 at 15:03
In mezzo a tutti ‘sti sapientoni mi fregio di spezzare una lancia a favore di Valentino Rossi, almeno come pilota. Poi, lasciatelo dire socio, “è uno che fa pubblicità alla Nastro Azzurro, santiddio” è un’uscita di uno snob a livello 10.
June 1st, 2005 at 15:25
Brodo (anzi, Soup): che c’entra il mondo del lavoro, adesso? Noi si parlava di Scienze della Comunicazione. Tra snob ci s’intende (10 e lode, Squonk).
June 1st, 2005 at 15:33
Acido, il Dottor Brodo stava sviluppando un’interessante digressione e, parlo per esperienza personale, gli devo dare completamente ragione (parlo di multinazionali, colleghi che ti orinano in testa e cose del genere). Ahimè.
Socio: Nastro Azzurro, dico. Voglio dire, sotto c’è soltanto la Dreher (e sopra, qualunque altra birra, a partire dall’Ichnusa – e questo sì che è snobismo).
June 1st, 2005 at 15:50
Mi sembrava di aver letto che il Master è “un titolo in realtà equivalente alla laurea”, che è un’affermazione non esatta per le ragioni che dicevo sopra (indipendentemente dal tipo di laurea o di master).
June 1st, 2005 at 15:54
La Gran Riserva però è buona.
June 1st, 2005 at 15:59
è vero, la comparazione non avviene sicuramente tra sistemi omogenei. però qui stiamo parlando di tasso di educazione post-secondaria nella popolazione 25-64 anni, grandezza che mi sembra relativamente indifferente rispetto alla durata del percorso scolastico
June 1st, 2005 at 16:00
nessuno tocchi l’Ichnusa. Mi ha salvato più di una volta dalla disidratazione
June 1st, 2005 at 16:03
brododigressione: fate voi, ma qui non c’entra. e ora parliamo di cose più serie. La Nastro Azzurro rientra nella gloriosa tradizione delle birrette nazionali. Insieme all’Ichnusa, alla Birra Messina (e alla sorella Falcon, palermitana) e alla pugliese Raffo (la Moretti, per influenza kaiser-königlich è già un po’ più in alto). Molte di queste birre (come la Venezia e la Perugia) sono sparite. Quelle che restano, con il loro nome italianissimo, si battono bene. L’essenziale è berle ghiacciate, in agosto, dopo due ore di palestra. Se si sopravvive vanno benissimo, e fanno buona compagnia alle birrette mediterranee come la Efes in Turchia e la Tuborg greca.
Si scende in classifica quando le birre acquistano un nome tedesco o germanizzante. Allora sì che son dolori. Un tempo c’erano i mastri birrai tedeschi emigrati in Italia (in Sicilia facevano la Henninger, e in sud Tirolo fanno ancora la Forst) Squonk cita la Dreher, ma a nostro parere la Wührer e la Von Wunster (mense universitarie) sono ben peggio. L’operazione è ben nota, e voi specialisti potrete erudirci meglio: la formula, comunque, è chiata. Più il nome “fa” tedesco, più la birra fa schifo.
Detto questo, noi che siamo un po’ più anziani di voi ex-giovanilisti abbiamo evitato l’orrore dei proto-pub con le varie birre rosse. E, comunque, un buon vino è sempre meglio. E questo lo sapevano bene gli antenati, prima che i neocialtroni scoprissero l’arte del roteare i bicchieri da degustazione, manco fossero fossero milkshakes.
June 1st, 2005 at 16:13
oggi siamo sulla stessa lunghezza d’onda, mr squonk (si vede che tra radical chic ci si intende). sulle birre citerei la manabrea (e a me l’ichnusa piace parecchio ma forse perchè quando la bevo vuol dire che sono in sa sardegna)
June 1st, 2005 at 16:19
e la Pedavena ?
June 1st, 2005 at 16:53
Per favore: adesso cominciate anche a commentare con la “evve” e poi fondate il club dei dandy over **. Suvvia!
June 1st, 2005 at 16:57
Premessa: questo post, grazie ai vostri commenti, mi sta dando delle soddisfazioni che non potete immaginare. Dal malvezzo delle lauree honoris causa all’analisi comparata dei sistemi educativi superiori nell’Occidente industrializzato all’Ichnusa in diciannove passi: questa è la blogosfera, baby – e io la amo.
E quindi, veniamo alle cose serie: la birra italiana, con le scarsissime eccezioni citate da Acido, Dado e Dust (una cosa tipo aldogiovanniegiacomo, insomma) non esiste. Punto. Noi siam bravi a fare il vino, e morta lì. Per inciso, comunque, lo screening ed i consigli per la degustazione dati dall’AcidoSignore mostrano intelligenza e competenza: concordo pienamente. La birra italiana va bevuta a temperatura zero kelvin: così, ha lo stesso gusto dell’acqua, però è fresca e gialla ed ha le bollicine che fanno fare i ruttini. Per bere birra buona non si deve restare nei paesi latini: la San Miguel vale la Dreher, e la Corona pure. Via, tutti, a bere Weissbier in Austria o Germania; già si deve un po’ diffidare delle centomila birre fatte in Baviera, chè son troppe. Si degustino le scozzesi, in particolare certe doppio malto; le inglesi sono buone al pub, e poi basta. Il vero paradiso della birra sta tra il nord-est della Francia (tipo la Pelforth) e il Belgio, dove il sacro liquido a seconda fermentazione in bottiglia è gadget nazionale. Non si dimentichi la zona nei dintorni di Strasburgo, dove si sconsiglia la Kronenbourg ma si può bere la 1664 e soprattutto la Fischer (la Adelscott è per fighetti). Gli USA, vabbeh, lasciamo perdere, bisogna avere la fortuna di trovare birrerie artigianali: tipo la Crescent City Brewery di New Orleans, dove ti danno un five-sampler che vale tutti gli otto dollari che ti chiedono.
Mi è venuta sete, per dire.
June 1st, 2005 at 16:59
baaad dog…
June 1st, 2005 at 18:01
Non sono un grande intenditore di birra, però mi sembra che non sia stato sottolineato abbastanza il punto fondamentale: la pastorizzazione. Il 99% delle birre che beviamo è pastorizzato, quindi c’è poco da discutere sulle qualità organolettiche – il calore stronca tutto. Diverso il discorso delle birrerie artigianali, anche in Italia mi sembra ci sia qualche microbrewery di qualità (a Roma provate ad andare all’Atlas Coelestis).
Sul vino sono molto più ferrato, e la leggera rotazione del bicchiere (leggera, non da rodeo) serve per valutarne la consistenza e per farlo “aprire” – cioè favorirne l’ossigenazione, specialmente per i rossi affinati a lungo in bottiglia. Sempre che si usi il bicchiere giusto e che sia stato lavato con sola acqua calda o detersivo senza tensioattivi.
June 1st, 2005 at 18:24
Carlo, il Bachelor e’ un semplice diploma universitario (come le nuove lauree triennali) e non e’ equivalente alla laurea vecchio ordinamento o laurea specialistica, che in Italia e’ l’unica che da’ il titolo di dottore e l’accesso al dottorato di ricerca. Lo sono solo il Master of Science, Master of Arts, eccetera, se fatti nella stessa materia del bachelor. L’MBA e’ un titolo totalmente diverso (e per tutti conta dove lo si fa, non il titolo in se’ come in Italia)
Il fatto e’ che per molti lavori basta un diploma universitario.
June 1st, 2005 at 18:27
ma come, mi parte dalla cultura e mi arriva alla coltura (del luppolo)?
June 1st, 2005 at 20:38
L’Ichnusa me la sono persa. La birra italiana esiste ma ha come unico obiettivo il salvataggio dalla disidratazione, obiettivo che bene o male riesce a centrare. Ce lo vede lei l’operaio in pausa pranzo con una bottiglia di Maredsous?
June 3rd, 2005 at 09:48
Non nomini Paolo Conte invano, caro Sir! Che prima di pronunciarne il nome dovrebbe sciacqaarsi la bocca con acqua al tamarindo!!!
June 3rd, 2005 at 14:39
io ho una laurea umanistica. mi sono laureata nel lontano anno accademico 1995-96 (in corso: lo specifico per chi volesse fare il conto degli anni) in lingue (francese e spagnolo, una sciccheria) indirizzo scienze della comunicazione. allora dire “scienze della comunicazione” faceva fico. adesso per pudore preferisco ometterlo;) quando qualcuno mi chiede un consiglio su qual è la laurea giusta per chi vuole fare il mio mestiere di imbrattacarte (o imbrattaetere) rispondo solitamente giurisprudenza. “e scienze della comunicazione?” aggiungono speranzosi. io me ne vado sospirando e scuotendo teatralmente la testa.
June 6th, 2005 at 14:31
non so se qualcuno l’ha già detto (mi sono perso nella birra). Le lauree “a cazzo” ai personaggi noti si spiegano con la privatizzazione strisciante dell’università, che deve attrarre studenti per attrarre finanziamenti. Da qui il marketing e i testimonial. discorso tutto interno alla trasformazione del modello di istruzione superiore italiana, molto lungo e non affrontabile qui
June 8th, 2005 at 17:12
Senza disquisire di birre (per la fredda cronaca, ieri ho bevuto una Devil’s kiss)e dell’aspetto sociologico delle lauree e dei paralleli con altri sistemi educativi, guarderei anch’io all’aspetto pubblicitario. Non dei personaggi a cui la laurea viene data, ma quella relativa all’ateneo che la conferisce.
Perchè i fondi alle università vengono dati anche in base al numero degli iscritti. Più pubblicità di questa…Che poi in un normale ordine idee io non verrei mai spinta a iscrivermi a un’università (anche) con una motivazione del genere…ma effettivamente la laurea in Comunicazione la sto prendendo studiando (5 anni, 30 esami) e non andando in moto…scema io…
June 8th, 2005 at 17:51
E rimarco il fatto che quasi nessuno ha parlato della laurea honoris causa a Camilleri, conferitagli dall’università di Pisa, lo scorso 27 maggio…