Fatti (veri) e parole (false)
Ivan Preston è un nome che dice poco o nulla alle grandi masse. Eppure, milioni di consumatori americani gli sono inconsapevoli debitori di una battaglia che da anni cerca di metterli al riparo da alcuni “trucchi†della comunicazione pubblicitaria.
Preston è professore di pubblicità presso l’Università del Wisconsin. Uno dei principali oggetti della sua attività è ciò che gli americani definiscono “pufferyâ€: letteralmente, “lode esagerata, gonfiaturaâ€. Preston affrontò per la prima volta il tema nel 1970, quando lesse, in un libro di diritto, che un’azienda che vanta una caratteristica che non possiede, non può essere accusata di compiere una azione illegale, benchè dichiari il falso.
Chi viene accusato di fare pubblicità ingannevole perchè ha sostenuto di essere “il miglioreâ€, può difendersi dicendo che si trattava di mera vanagloria. Se il giudice concorda, ritenendo che il consumatore fosse consapevole di questo tentativo di “spararla grossaâ€, l’azienda è assolta. Il punto è che molta pubblicità , benchè non tecnicamente falsa nel corrente senso legale del termine, non è nemmeno veritiera.
Preston ha investito 33 anni, due libri ed un notevole numero di articoli per criticare duramente questo metodo di comunicazione. Nel 1995, gli studiosi che stavano rivedendo lo Uniform Commercial Code proposero di rendere obbligatoria la sostituzione di slogan generici con dati certi e dimostrabili. Ma oggi, il codice che l’American Law Institute sta per approvare, mantiene immutate le regole sulla pubblicità ingannevole: e così, quello che avrebbe potuto essere il più folgorante successo della carriera di Ivan Preston (ed una grande vittoria dei consumatori USA), sta per trasformarsi nella sua più bruciante sconfitta.