Il Leo
Ai tavoli, e qui al bar in generale, lo si vede poco, il Leo.
Per fortuna. Perchè il Leo è l’emblema della periferia delle grandi città europee, il simbolo dei brutti sporchi e cattivi che permettono di scrivere venti righe in cronaca e danno un brivido di paura, uno di ribrezzo ed uno di eccitazione alle troiette dei collegi del centro.
Non è Jessica Rabbit, il Leo: non lo dipingono così. Lui è così. Ignorante e violento, e probabilmente un po’ stupido. Abita a poche scale di distanza da casa mia, lo conosco di vista fin da quando ero piccolo. Mi ha sempre fatto paura. Paura, mica altro. Paura da sentirsi il cuore accelerare, paura da cercare di cambiare strada senza dare l’impressione di farlo: certo, perchè è capace di prenderlo come un affronto, di venire a prenderti e di riempirti di botte fino allo sfinimento, lui, il suo bomber, i suoi jeans stretti e scoloriti, i suoi anfibi.
Ne ha mandati tanti all’ospedale, il Leo. Per ogni costola rotta, una impotente lacrima di sua madre, per ogni coltellata una nuova ciocca di capelli bianchi di sua sorella.
Fa paura a tutti, uno così, anche ai ganassa che passano la loro vita con una stecca in una mano e il pacco nell’altra. E quelle poche volte che arriva, il bar si zittisce, come capita quando passa il Parroco. Ma tutti sanno che l’uomo nero è buono e innocuo, mentre questa specie di naziskin che il nazismo non sa proprio cosa sia è cattivo e stupido, tutti sanno che se ti fa una domanda con la sua solita aria da tispaccoilculo qualunque risposta potrebbe essere sbagliata, tutti sanno che se ne sbatte i coglioni della polizia e due mesi dentro chissenefrega. Tutti sognano di rompergli la stecca su quella cazzo di testa pelata che si ritrova, di vederlo a terra, sanguinante e con i denti sparsi sul pavimento, a implorare basta.
Succederà, prima o poi. Qualcuno gli ficcherà una lama in mezzo alle costole, qualcuno gli darà una sprangata davanti allo stadio, qualcuno gli tirerà due colpi di setteesessantacinque. E noi, senza dirlo ma senza vergognarci, ne saremo contenti.
June 24th, 2004 at 14:43
Ma chi è, Frank Begbie?
June 24th, 2004 at 21:55
Momo, se Frank è un personaggio reale e non solo un parto della fantasia di Welsh, allora sì.
E comunque, la storia si è conclusa: non con una lama, o una spranga, o una pistola, bensì con una siringa. Per il resto, ultima frase inclusa, è tutto vero.
June 24th, 2004 at 23:15
Frank è un buon personaggio, perché è fin troppo reale. Scommetto che Leo parlava come lui. E’ per questo che Welsh è un grande.
June 26th, 2004 at 08:01
oh, anche io ho un Leo così e l’ultima riga mi ha rovinato la mattinata.
June 26th, 2004 at 21:32
Skunk, la verità fa schifo, a volte.
June 27th, 2004 at 10:07
Già. E se una cosa è troppo stupida da dire, allora potremo cantarla, diceva Voltaire-Caselli.
Mi sono dimenticato di dirti che scrivi bene.
Rimediato.