Fast forward
Secondo i maggiorenti della pubblicità italiana, il miglior amico del telespettatore italiano è il tasto dell’avanti-veloce: a sentire Massimo Costa, amministratore delegato di Young&Rubicam, “siamo l’Albania della réclame. (…) réclame, neanche pubblicità. È vergognoso il modo in cui lavoriamo in pubblicità, usiamo solo testimonial, i clienti e i pubblicitari sono troppo vecchi. All’estero comandano i giovani, la creatività è nelle loro mani. L’Italia è vecchia“.
Nulla di nuovo sotto il sole, in effetti. Così si spiega anche perchè “un marchio di scarpe diventato popolare tra il fighettame metropolitano modaiolo come Bikkembergs (ai piedi di sciure milanesi e fashion victim varie) si affida nella sua nuova campagna a testimonial come Ravanelli e Cannavaro” (cioè un attaccante spompato e alla fine della carriera e un difensore il cui maggior pregio risiede nel cognome di famiglia). Una scelta sventata, per rispondere a Luca.
Italia Oggi (a pagamento), Wittgenstein
June 28th, 2005 at 10:26
Mah, il discorso sulla pubblicità è più complesso ma anche molto più semplice. La pubblicità serve a far convicnere le persone che quel prodotto è meglio del suo concorrente e spingerlo a comprarlo. Punto. Il successo e l’efficacia di un commercial lo sivede dalla crescita della sua quota di mercato. Punto.
Poi, certo, la comunicazione deve essere creativa, suggestiva, divertente, ammiccante ecc.. . Ma è un secondo punto.
QUindi io non so se le pubblicità inglesi, in quanto più creative, siano più o meno efficaci di quelle italiani, non ho i dati di fronte.
I pubblicitari purtroppo si sentono l’ombellico del mondo e di conseguenza poi perdono di vista il vero centro delle cose.
A Luca poi ho dato un ulteriore risposta sul mio blog.
June 28th, 2005 at 11:12
Non c’è dubbio che il fine ultimo della pubblicità è quello che tu dici. Ma il traguardo lo si raggiunge passando per punti intermedi (un po’ come l’Intergiro al Giro d’Italia, per capirci): la riconoscibilità, la memorabilità, la fiducia nella marca e cose del genere. Alla fine, soprattutto nei grami tempi economici che viviamo, per le vendite funzionano meglio le promozioni e gli sconti che non le campagne di branding, ma nel medio-lungo periodo si costruiscono dei risultati (anche) attraverso pubblicità che non hanno l’immediato scopo di vendere. In questo senso, la scelta di un testimonial può voler dire più di un semplice “lui/lei usa il nostro prodotto, usalo anche tu”; ed ecco che fatico a capire chi può pensare di creare un meccanismo di identificazione con un centravanti bollito che quest’anno ha fatto tanta panchina in serie B o con lo stopper di una squadra che si è salvata allo spareggio e che è sostanzialmente noto per essere il fratello di un altro stopper, ben più bravo di lui.
June 28th, 2005 at 11:24
e soprattutto, perché non hanno ancora chiamato me a fare da testimonial?
June 28th, 2005 at 17:50
E che problema c’è? Fuga di cervelli all’estero, anche i copy! Tanto adesso ci si può riciclare come CONCEPTEURS, no?
June 28th, 2005 at 17:51
[Cicisbeo mode on]
Lei che è così giovine, lo faccia subito, cosa aspetta?
June 28th, 2005 at 18:16
Ecco perche’ in Albania ci sono tante parabole e perche’ Mediaset ha tanti ballerini albanesi 🙂
June 28th, 2005 at 18:17
scusi per la faccina. m’e’ scappata.